L’uomo di Bergoglio risponde a tono

al plotone d’esecuzione Onu. Basterà?

S’era preparato, monsignor Silvano Tomasi, osservatore permanente della Santa Sede all’Onu di Ginevra, all’interrogatorio del Comitato per il rispetto della Convenzione contro la tortura. Nessun dubbio del Vaticano sull’utilità della Convenzione, ma rifiuto di un confronto ideologico “basato su alcune asserzioni che alle volte le ong mettono in forma molto polemica e che sono poi usate come informazioni accurate, anche se qualche volta non lo sono”. La Santa Sede non vuole che si ripeta quanto accaduto a febbraio con la pubblicazione del Rapporto stilato dalla Convenzione sui diritti del fanciullo che – dopo aver deplorato silenzi e coperture riguardo i casi di abusi sessuali su minori – intimava alla chiesa cattolica di rivedere le proprie posizioni su contraccezione, aborto, esclusività del sacerdozio maschile. Il tutto senza che dal Vaticano giungesse una risposta a tono: la Segreteria di stato, infatti, si limitò a reagire con una blanda nota diplomatica. L’atteggiamento dei membri del comitato ginevrino sulla tortura fa pensare che anche stavolta le conclusioni siano già scritte, benché il Rapporto sarà consegnato solamente il prossimo 23 maggio. Il presidente dell’organismo, il cileno Claudio Grossman, più volte è intervenuto per cercare di riequilibrare un dibattito che in più d’una occasione aveva assunto la forma di una sorta di plotone d’esecuzione, anche per il tentativo di alcuni membri (su tutti l’americana Felice Gaer, il georgiano George Tugushi e il cinese Kening Zhang) di portare la questione sul terreno insidioso relativo agli abusi sessuali e all’aborto, il cui divieto è stato definito dalla signora Gaer come una forma di tortura. “La chiesa – ha prontamente risposto mons. Tomasi – condanna ogni forma di tortura, inclusa la tortura dei bambini che non nascono a causa delle pratiche abortiste”. Quanto al tema degli abusi sessuali sui minori – altra chiara forma di tortura, ha detto il membro nepalese –, al di là delle sottigliezze giuridiche sulla definizione statuale della Santa Sede e del Vaticano, l’osservatore permanente ha respinto ogni addebito, sottolineando che dal 2004 al 2013, regnanti Giovanni Paolo II e Benedetto XVI, i preti ridotti allo stato laicale sono stati 848, mentre ad altri 2.572 sono state comminate pene di diversa entità, come la sospensione o il divieto di avere a che fare con bambini. E’ la prima volta che i numeri esatti dei provvedimenti adottati dalla Santa Sede vengono resi noti in forma ufficiale davanti a una commissione internazionale. E’ la prova che, a giudizio del diplomatico di stanza a Ginevra, la Santa Sede non ha attivato quella rete di copertura che nelle sedi internazionali le viene da sempre imputata. Sempre negli ultimi nove anni, ha osservato inoltre mons. Tomasi, sono state 3.420 le “accuse credibili” relative a casi di abusi sessuali ricevute dalla congregazione per la Dottrina della fede. Accuse alle quali è stata data una risposta adeguata dall’ex Sant’Uffizio. “La Santa Sede – aveva chiarito l’osservatore permanente – auspica che nell’applicazione della Convenzione a tutte le nuove appropriate situazioni queste rimangano nell’ambito della specifica area della medesima Convenzione”. Il pericolo, aggiungeva Tomasi, è che “il lavoro del Comitato sia non solo inefficace, ma perfino controproducente”.

Nel frattempo, e in attesa della relazione finale che si preannuncia ancora una volta dura nei contenuti, il segretario generale delle Nazioni Unite, Ban Ki-moon, sarà ricevuto in udienza dal Papa venerdì prossimo. Con lui varcherà le Mura leonine anche una trentina di personalità legate alle diverse agenzie dell’Onu. C’è attesa per le parole che Francesco pronuncerà nell’occasione, benché da più parti si preveda che il cuore del discorso papale riguarderà le sfide rappresentate dalla povertà e dai conflitti nelle diverse aree del pianeta.

© - FOGLIO QUOTIDIANO

di Matteo Matzuzzi   –   @matteomatzuzzi, 7 maggio 2014 - ore 09:00

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