I Fratelli musulmani sono “finiti”. Parola di al Sisi
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L’Egitto e il suo generale
Per il prossimo presidente, è il popolo che lo vuole. L’occidente acconsente
Con me al potere, ha detto il prossimo presidente dell’Egitto, il generale Abdel Fattah al Sisi, i Fratelli musulmani “non esisteranno più”. Lunedì nella prima intervista televisiva elettorale – si vota il 26 e il 27 maggio, la vittoria del generale è data per scontata – al Sisi ha spiegato che l’organizzazione islamista non ci sarà più una volta che sarà diventato presidente (a domanda diretta sulla fine della Fratellanza ha risposto: “Yes, just like it”). “Voglio dirvi – ha dichiarato con il suo tono paternalista – che non sono io che ho messo fine alla Fratellanza. Voi, voi egiziani, siete quelli che ne hanno decretato la fine”. Il generale registra il discontento dell’Egitto nei confronti di un’ideologia, quella dei Fratelli musulmani dell’ex presidente deposto Mohammed Morsi, che si fonda “sull’arroganza della religione”, che destabilizza la società egiziana, con attentati e violenza: “Le strutture legate a questo gruppo dicono che noi non siamo veri musulmani. Loro credono che il conflitto con noi fosse inevitabile perché noi non siamo dei credenti”. Ma tutto questo non accadrà più, “è finita”. Anche i militari non avranno potere, garantisce al Sisi che si è dimesso dall’esercito per candidarsi, lasciandosi poi andare a nostalgie nasseriane, quando con aria sognante dice che avrebbe molto voluto essere come Nasser.
L’intervista è stata trasmessa su schermi sparsi per il Cairo con gli egiziani che sventolavano adoranti le foto del loro prossimo presidente. La sua popolarità non è messa in discussione da nessuno, i giovani sono stati chiamati alle urne con la promessa che anche l’economia tornerà a essere florida, una promessa che non si sostanzia su alcunché, ma a parole suona benissimo (il 69 per cento dei giovani è senza lavoro, in Egitto). Le condanne a morte di massa dei Fratelli musulmani – arrivano a botte di centinaia – non turbano più di tanto il popolo che vuole eleggere il suo leader. La parentesi della Fratellanza al potere è conclusa, è stata catastrofica, e al Sisi si batterà per fermare la violenza che ancora resiste, figlia di uno scontro di potere che non si è certo risolto, e come avrebbe potuto?, con il golpe dei militari (ma non chiamatelo così, nemmeno la Casa Bianca obamiana lo fa) che l’estate scorsa ha destituito con la forza il presidente eletto Morsi e ha cancellato l’esperienza dell’islam al potere. L’occidente che pure ha corteggiato questo islam cosiddetto moderato – ricordate il discorso al Cairo di Barack Obama che nel 2009 doveva ridisegnare per il futuro il rapporto con l’islam? – si è adattato alla nuova vita con al Sisi senza troppo scomporsi. Gli Apache americani sono stati consegnati, gli inglesi ancora provano a mostrare qualche reticenza, ma il prossimo presidente aspetta i soldi dagli alleati nella regione (con la variante russa ora più che mai presente), che arrivano e arriveranno. Almeno la sicurezza di Israele sarà garantita, dicono i realpolitiker travestiti per l’occasione in difensori dello stato ebraico, e così si potrà tornare alla normalità violenta della dittatura.
© - FOGLIO QUOTIDIANO di Paola Peduzzi, 7 maggio 2014 - ore 09:04