Perché dopo solo un anno Califano è finito tra le riviste

di cucina. La mattina, sul presto, uno va a comperare i giornali

e, per non sbagliarsi, dà un’occhiata alla vetrina di sinistra. Ci sono un paio di corsi di cucina, il mensile di fitness (per carità!), l’ennesimo fascicolo della rivista di storia contemporanea con scoop sulla Grande Guerra o giù di lì, 4 dvd di film italiani che nessuno vide mai al cine, immàgina a casa – e poi Franco Califano. Ma sì, il cantante maledetto, quello che amò 1700 donne (parole sue, confessate agli studenti della Terza Università, a Roma, 5 anni fa), quello che scrisse con Bruno Martino, Caterina Caselli, Ornella Vanoni, Mia Martini e recitò con Aznavour. A una Pasqua appena dalla morte (30 marzo 2013), è già diventato uno da edicola, una vita che si può racchiudere in un librino Mondadori compilato alla men peggio e un triplo cd con dentro le canzoni che tutti hanno già in casa, più una serie dei suoi chilometrici monologhi mezzo romaneschi, mezzo italiani. In realtà, Califano è stato forse un personaggio così: chilo più, chilo meno, come usava scherzare. Da qui, i testi memorabili "E la chiamano estate", "La nevicata del ’56", tutto il long playing "Amanti di valore", scritto per Mina nel 1973, e musicato dal grande chitarrista Carlo Pes; ma da qui, nel corso di una carriera lunga quasi cinquant’anni, tanta produzione dozzinale, e apparizioni sovente improbabili in televisione, di quelle che, oggi, affollano le pagine di You Tube, e col tempo lo hanno reso un Califfo sempre più da caricatura. Uno così, senza mezze misure e che, con il primo ministro Renzi, ci ha sempre messo la faccia. Tanto ce l’ha messa che i suoi biografi di adesso provano a imitarlo negli eccessi. Antonio Gaudino, curatore con Paolo Silvestrini di questo "Un attimo di vita" (Milano, 212 pagine, 10,90 euro) la mette giù così: “Qualcuno ne ha fatto un’amichevole parodìa, senza sapere uno dei migliori poeti della seconda metà del Novecento”. Mentre, nelle rispettive tombe, Eugenio Montale, Seamus Heaney, Octavio Paz e qualche altro si stanno rivoltando, fa eco il Silvestrini: “M’imbatto in una sua frase, bellissima e allo stesso tempo malinconica: ‘E questa notte Roma è tutta nera, nera, tutto il disprezzo degli altri è falsa letteratura’” – cioè, roba che le notti romane di Mario Soldati, Dan Smith o Carlo Emilio Gadda sono roba da boy scout, praticamente. Ma forse, chi lo sa, Franco Califano ci riderebbe sopra. Dopo uno dei suoi non rari incidenti, aveva dichiarato: “Ogni semestre, mi arriva l’assegno della Siae. Sono sempre 10mila euro, non uno di più, non uno di meno. Ora che non posso fare concerti, la mia unica fonte di reddito è quella”, e giù polemiche, con il Popolo del Web a inveire contro questo malvissuto che, con 1500 euro netti al mese, ancora piange miseria. Povero Califfo, rottamato senza pietà in vita, morto solo nella casa di Acilia e, appena un anno dopo, finito a far compagnia alle ristampe di fumetti d’epoca e alle riviste di motocross, nelle sempre più rare edicole d’Italia.

di Giovanni Choukhadarian, FQ. 8 aprile 2014 - ore 16:17

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