Così Renzi fa suo lo schema Schröder 2003

Def, contratto unico, tagli, il “sì” al modello Marchionne

I numeri, le promesse, il percorso, il modello, le coperture, e poi? Sono le diciannove e trenta quando Matteo Renzi arriva nella sala stampa di Palazzo Chigi, si presenta di fronte ai cronisti e comincia a spiegare rapidamente, in tempo per i tg, il senso politico del Documento di economia e finanza e del Piano nazionale delle riforme appena approvato in Consiglio dei ministri. Renzi dedica parte del suo ragionamento alla natura delle coperture economiche con cui il governo proverà a mantenere gli impegni presi sia sul campo del taglio dell’Irap, sia sul terreno della revisione dell’Irpef, sia sulla delicata partita del bonus da 80 euro al mese per i dipendenti che guadagnano meno di 25 mila euro lordi all’anno. Naturalmente, prima di essere consegnato alla Commissione europea, il Def presentato da Renzi dovrà passare entro il 21 aprile all’esame delle Camere e qualcosa potrebbe essere ritoccata. Ma al di là delle singole cifre e delle questioni contabili (la spending review per il 2014 passa dai 6 miliardi previsti dal commissario Cottarelli ai 4,5 miliardi annunciati da Renzi, 2,2 miliardi arriveranno dall’aumento del gettito Iva e dall’aumento della tassazione sulla rivalutazione della Banca d’Italia, l’impatto delle riforme dovrebbe portare a un incremento aggiuntivo del pil pari allo 0,3 per cento per il 2014 e del 2,2 per cento nel 2018) ciò che risulta significativo della giornata di ieri è il tentativo di trasformare il Def in un manifesto della Renzinomics. E a inaugurare così una fase orientata a seguire un percorso simile a quello imboccato nel 2003 da un leader di centrosinistra ultimamente molto citato da Renzi: Gerhard Schröder. Lo stesso Schröder, ex Cancelliere, ex capo della Spd, che nel 2003, il 14 marzo, di fronte al Bundestag annunciò – triangolando con Peter Hartz allora capo del personale della Volkswagen – il varo di un ambizioso pacchetto di riforme destinato a cambiare il volto della Germania, all’insegna della produttività, della modifica dei contratti di lavoro, della revisione delle prestazioni dello stato, della rottamazione della concertazione. Lo stesso Schröder a cui oggi Renzi lascia intendere di ispirarsi puntando su alcuni principi contenuti all’interno del Def e del Pnr. Primo: introducendo all’interno del disegno di legge delega sul lavoro la proposta di semplificare le forme contrattuali proponendo un modello di contratto unico a tutele crescenti per tutti i lavoratori (proposta Ichino). Secondo: annunciando all’interno del piano di tagli alla spesa un piano per costringere alcune imprese, generosamente foraggiate dallo stato, a migliorare la propria efficienza e rinunciare a una cospicua parte di sussidi (la lente di Renzi è andata sull’universo del trasporto pubblico locale e sul trasporto ferroviario, ovvero sulle Ferrovie dello Stato, 4,5 miliardi di euro ogni anno tra sussidi diretti e indiretti). Terzo: promettendo un impegno a promuovere un sistema del mercato del lavoro simile a quello suggerito da Marchionne nel 2012, con un rafforzamento della contrattazione decentrata. Quarto: istruendo un percorso per far sì che gli aumenti salariali siano allineati a quelli della produttività. Già, ma con quale obiettivo?

L’obiettivo del presidente del Consiglio è quello di inaugurare, proprio sul modello Schröder 2003, una nuova fase di rapporti con i sindacati in cui il governo prima di dare qualcosa (taglio dell’Irap al 10 per cento, legge sulla rappresentanza e tassazione sulle rendite finanziarie, che il Def conferma che passeranno dal 20 al 26 per cento) intende ricevere qualcosa in cambio. E il messaggio inviato ancora una volta da Renzi alle parti sociali suona più o meno così: cari sindacati, noi ci impegniamo a ridurre una tassa da voi considerata odiosa come l’Irap, ci impegniamo a promuovere una piccola patrimoniale come quella sulle rendite finanziare, ma in cambio vi chiediamo maggiore efficienza, vi chiediamo di riformare la vostra struttura, vi chiediamo qualche sacrificio economico e vi chiediamo di non trattare più la parola “produttività” come se fosse un’insostenibile provocazione. Accanto a queste misure, all’interno del piano delle riforme presentato da Renzi insieme con il ministro Padoan – che costituirà il terreno politico sul quale verrà misurato in Europa il percorso del governo Leopolda (nel piano c’è di tutto, Renzi promette un piano casa da 1,3 miliardi entro aprile, un piano scuola da 2 miliardi entro luglio, la riforma della giustizia entro giugno, l’approvazione della legge elettorale entro settembre) – il presidente del Consiglio ha inserito anche un significativo accenno all’opera di “dismissioni di alcune società sotto controllo statale per ridurre il debito pubblico e rendere più efficiente la spesa pubblica per un valore pari allo 0,7 per cento del pil, a partire dal 2014”.

Il senso dell’operazione – di questa e delle altre contenute nel Def e nel Pnr – ce la spiega al Foglio il viceministro all’Economia Enrico Morando alla fine del Consiglio dei ministri: “La nostra, per così dire, è una sfida in nome della produttività ed è una sfida per rendere più efficienti alcuni settori cruciali del nostro paese e ridurre alcune disuguaglianze. Sul capitolo della spesa pubblica ci siamo ispirati al modello svedese. Sul capitolo della riforma del lavoro ci siamo ispirati al modello tedesco. Schröder è in effetti il nostro faro. Ed è proprio seguendo lo spirito delle riforme fatte nel 2003 in Germania che abbiamo deciso di impegnarci per spostare verso il basso, verso i lavoratori, la contrattazione delle aziende. I sindacati forse non saranno contenti ma la sfida per la modernizzazione del paese oggi passa anche da qui. E riguarda tutti: non solo la politica”.

© - FOGLIO QUOTIDIANO

di Claudio Cerasa   –   @claudiocerasa, 9 aprile 2014 - ore 06:59

Solo gli utenti registrati possono commentare gli articoli

Per accedere all'area riservata