L’Act mancato di Matteo. Non è con surrogati
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e bandierine che si fa la rivoluzione promessa
Il documento sul lavoro reso noto via mail da Matteo Renzi, non senza “un sorriso” a timbrare e umanizzare la novità, è stato accolto – soffietti a parte – con una notevole diffidenza. E’ generico, improvvisato e va riscritto con maggiori competenze, ha osservato sia pure con tono rispettoso Pietro Ichino; è tutta fuffa, secondo il focoso e chirurgico Renato Brunetta; è bene ispirato, ha molte idee che vanno nella giusta direzione, ma è un manifesto politico o bandierina ideologica più che un atto di governo della società, secondo i liberisti dell’Istituto Bruno Leoni. Pare che Renzi, volendo “dettare l’agenda del governo” (come titola enfaticamente Repubblica) e castigare ogni giorno Letta e Saccomanni, proposito comprensibile alla luce di ciò che la segreteria uscita dalle primarie del Pd rappresenta come fenomeno politico, debba lavorare di grandi annunci, ma la sarabanda dura poco e fa molle figura se non ha luce, se non esprime posizioni radicali e persuasive. La Fiom sarà contenta della scomparsa della anche semplice menzione dell’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori e del progetto di varare piani di politica industriale nei settori del cibo, del made in Italy, delle nuove tecnologie, della green economy e, last but not least, della manifattura. I grandi burocrati prenderanno come un insulto la licenziabilità di chi tra loro non ha vinto un concorso, ma si consoleranno con l’Agenzia Federale del Lavoro che promette nuovi livelli amministrativi di coordinamento poco meno che superflui. La botta demagogica di passare alla detassazione dell’Irap e al risparmio d’impresa sulle bollette energetiche attraverso la punizione fiscale delle rendite finanziarie sarà squillante, ma nulla è seriamente quantificato, non ancora, e il ministro del Lavoro Giovannini ha avuto buon gioco nel replicare che sono cose non nuove eppure ancora così vaghe da stupire per inconcludenza. Non una parola sul tabù della concertazione e su altri decisivi freni contrattuali e corporativi all’economia di mercato. Anzi, l’aria è di un ritorno a casa della sinistra di sempre.
Elsa Fornero, una che ci ha provato seriamente, approva in particolare l’idea di un assegno universale per i senza lavoro, di cui aveva contribuito a disegnare un nucleo originario, senza effetti concreti, e saggiamente suggerisce di non perdere la chance rappresenta da Renzi nella vita del paese. Ma qui è il punto della faccenda. Renzi non ha in primo luogo da esibire una fantasia tecnica e un coraggio legislativo combinato con serietà e competenza, ciò che era il compito specifico del governo tecnocratico; Renzi ha il mandato per cambiare il paese, per intervenire alla radice dei problemi di produttività del lavoro, dalle regole al fisco a tutto il resto che conta, ed è curioso che la sua segreteria pensi di poterlo fare flirtando con Landini, con le lagne sul precariato, con i piani industriali. Vuole fare come Obama? Chieda a Marchionne, e gli sarà spiegato.
© - FOGLIO QUOTIDIANO Giuliano Ferrara, 10 gennaio 2014 - ore 06:59