Nella èra del Cav. e Renzi come dire tutto e

 niente ovvero fratelli di spin

Uno mente sapendo di smentire (e non solo), l’altro fa il ganzo da “Job act”. Arte anglosassone, commedia italiana ( e intanto noi italiani paghiamo le tasse di ogni specie. opact)

L’uno crea stati d’animo più che contenuti, e dunque diffonde un’email e la chiama “job act”, sublime effetto di scena, teatro dell’evanescenza, e in effetti sembra che la grande riforma ci sia, e anche i siti internet dicono che l’Europa la approva, eppure la grande riforma non c’è, è un’email, generica, si vedrà. L’altro tira fuori dal cilindro sempre nuovi dinosauri, leadership alternative e freshe, un po’ vere e un po’ no, oggi le chiama Giovanni Toti, come un tempo si chiamavano Maurizio Scelli, Michela Vittoria Brambilla, Angelino Alfano: accende l’attenzione, occupa uno spazio, vede l’effetto che fa, se poi non funziona, se poi non gli piace, butta tutto e ricomincia da capo. Matteo Renzi e Silvio Berlusconi esistono nella misura d’un fluviale susseguirsi di annunci e contro annunci, suggestioni e ritirate, fantasie e invenzioni, ribalderie e veline di cui si alimenta il circo mediatico, con un effetto inebriante, un gioco di specchi da perdere l’orientamento. Renzi adesso è atteso a Roma, arriverà oggi, così come il Cavaliere è in movimento verso la capitale. E a Firenze, attorno al segretario del Pd, come in quel porto agitato che è Arcore, ora è tutto un pissi pissi. “Matteo viene per incontrare Berlusconi”, “non lo incontrerà”, “forse lo incontra”. E insomma l’Italia che finora conosceva soltanto il Cavaliere, importatore dall’America della televisione commerciale, protagonista sorgivo d’una commedia politica da vent’anni sempre assuefatta al suo vorticoso spin di corte – composto d’una magica e pazzotica contraddittorietà – ebbene l’Italia che un tempo fu di Prodi e di Bersani, cioè della serietà al governo, delle veline ufficiali e dei portavoce arrochiti, delle liturgie e delle smentite pignole, adesso con Renzi sembra essersi consegnata per sempre all’anglosassone e turbinante sistema dello spin al comando. Commedia caotica e perenne in cui ogni gesto, vero, falso, o verosimile, si gonfia, cambia aspetto, quasi esplode nella velocità di Twitter e Facebook, ma poi scompare senza lasciare traccia, e con la stessa potenza misteriosa con la quale era apparso. E dunque una mattina Gasparri, Ravetto e Biancofiore sono iscritti nella lista nera, “mai più in televisione”. Poi la sera stessa Gasparri va in onda a “Ballarò”.

E dunque Renzi vuole fare cadere il governo, anzi no, si ricandida sindaco di Firenze, o forse sta assecondando una scissione nel Pd, o invece lavora a tenere accanto a sé la minoranza di Gianni Cuperlo e Matteo Orfini. E Berlusconi vuole le elezioni subito a maggio, anzi no, non le vuole più perché vuole impaludare Renzi nell’acquitrino governista di Letta, o forse sta solo spingendo per ottenere il Mattarellum, ma intanto in realtà propone come legge elettorale il modello spagnolo. Tutto vero e tutto falso, tutto spin. Renzi e Berlusconi sono spin doctor di se stessi, e non puoi fidarti di uno spin doctor (come scrive Paola Peduzzi, a pagina due), lavora per confonderti, non dice mai quello che pensa, ma dice solo quello che è giusto che tu sappia in quel preciso momento. E dunque il Cavaliere e il ragazzino sono due uomini capaci di suonare i propri cortigiani e compagni di partito come battessero i tasti di un pianoforte, Renzi usa i suoi fedeli Nardella e Lotti come Berlusconi usa Santanchè e Brunetta, Capezzone e Gelmini, entrambi li confondono e li imbrogliano in modo tale che loro poi possano istruire, confondere e imbrogliare il sistema dell’informazione. L’effetto è vorticoso, l’invenzione dello spin è anglosassone, ma l’Italia strapaesana, quella della supercazzola da “Amici miei”, ha saputo rielaborare a regola d’arte. La confusione qui ha un’eternità di foresta. Così i giornali inseguono, riportano, si attorcigliano sui fantastici e improbabili umori di questi moderni e volatili leader, fedeli alle loro incognite inclinazioni e imprendibili fantasmagorie. E mentre il povero Letta è impaludato nella deludente dimensione del condizionale, il tempo dello spin, non misurabile, è invece proiettato su un futuro che non necessita di riscontri, composto di promesse e coriandoli. E non per nulla il futuro, sostanza fatata, è il tempo verbale dei profeti, dei maghi, dei rivoluzionari, dei genii, ma anche dei ciarlatani.

FQ di Salvatore Merlo   –   @SalvatoreMerlo, 10 gennaio 2014 - ore 06:59

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