Facebook ci spia ed è dato (di nuovo) per morto.
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E invece ci seppellirà. Facebook ci spia più del dovuto.
Questa in sintesi la tesi di due utenti americani che hanno fatto causa al popolare social network creato da Mark Zuckerberg. Secondo gli accusatori Facebook controllerebbe i messaggi privati tra i propri iscritti e utilizzerebbe i dati così raccolti per definire meglio il profilo degli utenti. In questo modo sarebbe in grado di vendere più e meglio la pubblicità mirata che compare sulle bacheche degli iscritti al social network, basata su interessi e gusti del singolo utente. Il caso è simile a quello che investì Google qualche anno fa – leggere i contenuti delle email e far comparire così pubblicità ad hoc ai propri utenti. L’azienda di Mountain View ne uscì dimostrando che la raccolta di quei dati avveniva tramite un software automatico, per cui nessuna persona effettivamente leggeva i contenuti della posta elettronica degli utenti. I due accusatori di Facebook, che agiscono a nome degli oltre 166 milioni di iscritti americani, sostengono che “far credere agli utenti che il contenuto dei loro messaggi resti privato rappresenta una grande opportunità per l’azienda”. Chi scrive sulla chat, infatti, è più propenso a rivelare fatti personali, sicuro del fatto che nessun altro ne venga a conoscenza. Facebook invece monitorerebbe anche queste conversazioni, basandosi soprattutto sui link, utilizzandole per schedare gli iscritti a fini di marketing. Zuckerberg e soci naturalmente hanno rigettato ogni accusa, definendole senza fondamento.
Questa non è la prima né sarà l’ultima polemica sulla gestione opaca da parte di Facebook della privacy degli utenti, i quali però non sembrano particolarmente turbati da queste rivelazioni, e semmai abbandonano le bacheche virtuali per assuefazione e noia. A tale proposito, da tempo si leggono post e articoli di esperti che spiegano con sicumera come l’èra di Facebook sia ormai finita. E’ l’eterno ritorno dell’identico, poiché ciclicamente la creatura di Zuckerberg viene data per spacciata, ogni volta per motivi diversi. L’ultimo è l’antropologo Daniel Miller, che sul Guardian di qualche giorno fa definiva il social network “morto e sepolto”, rifacendosi alle statistiche, confermate anche dai vertici aziendali, secondo cui i teenager starebbero migrando su altre piattaforme meno affollate e più nuove. Vero, ma la cosa non sembra preoccupare più di tanto Zuckerberg.
Come spiegato ieri su Mashable, uno dei più importanti portali di informazione tecnologica e digitale al mondo, gli investitori pubblicitari guardano più alle azioni che alle statistiche sui giovani. Giovani che oltretutto da sempre seguono ondivaghi le novità tecnologiche del momento, siti web e social network compresi. La strategia di Facebook, spiegava ancora Mashable, potrebbe essere quella di aspettare e vedere che succede: probabile che, finito l’entusiasmo per l’ultima novità, i ragazzi tornino sull’usato sicuro. Paradossalmente, la next big thing potrebbe continuare a essere Facebook per molto tempo.
Dopo la quotazione a Wall Street (da molti salutata come l’inizio della fine causa bolla finanziaria) il titolo ha aumentato il suo valore del 120 per cento negli ultimi sei mesi. Chi fa pubblicità sulle pagine del social network raramente le indirizza ai teenager, troppo volatili e con poca capacità di spesa, ma alla fascia di età che va dai 25 ai 40 anni, ben rappresentata e stabile. E la pubblicità, anche grazie alla crescita della navigazione mobile, è in costante crescita. Se poi è mirata al singolo utente, ancora meglio.
FQ di Piero Vietti – @pierovietti, 4 gennaio 2014 - ore 08:00