Se Matteo non taglia la testa del Re

Il caso Renzi. Cavalcata ambiziosa di un trentenne, espulso

dagli apparati e ora plebiscitato da un popolo elettore. Tutto è pronto per integrarlo, disossarlo. Non può eterodirigere il sistema, deve romperlo

Il caso Matteo Renzi è questo, e ci riguarda tutti, specie ora. Nasce alla scena pubblica con uno strappo. Si prende Firenze a furor di popolo contro i boss del partito. Trasforma sé stesso, con i suoi trentott’anni, in un programma di rottamazione, espressione sgradevolmente violenta ma persuasiva, del vecchio personale politico del centrosinistra e del Pd. Predica l’avvento dei trentenni alla guida del paese, per cambiarlo con idee e pratiche radicalmente nuove. Vuole guidare personalmente questa rivoluzione, rivolta al futuro e al superamento degli aspetti rigidi, mortuari, del passato, e vuole farlo con un suo staff di giovani uomini e donne e una comunicazione all’americana, fund raising all’americana, un film americano montato da Michael Mann. Viene espulso da una maggioranza d’apparato diffidente delle sue idee e dei suoi modi pop alla Fonzie, la maggioranza che lo esclude perde rovinosamente elezioni già vinte sulla carta, e ora Matteo Renzi è in dirittura d’arrivo per essere eletto segretario da una constituency larga, fatta in prevalenza di elettori, estranea alle vecchie prassi di partito (ha vinto anche tra gli iscritti, peraltro).

Può fare qualcosa o è la solita illusione destinata a impaludarsi in un minimalismo letale per le vere ambizioni politiche? Il caso Renzi è tutto qui. La Corte costituzionale ha appena squadernato davanti agli italiani una legge elettorale proporzionale con le preferenze, il contrario del suo progetto che si nutre della possibilità vocazionalmente maggioritaria di governare e innovare oltre un sistema politico la cui architettura va rivista da cima a fondo. Massimo D’Alema, la sua Nemesi, sfotte: dove va Matteo ora che la decisione della Corte rinvia le elezioni alle calende greche, in mancanza di una legge elettorale potabile, oppure si vota come sotto Forlani e Cirino Pomicino? Renzi si ritrova davanti un governo di piccola coalizione, che ha espulso lo spauracchio di Berlusconi, e un progetto fallito di transizione riformatrice garantita dal presidente della Repubblica. Si vivacchia, si vuole continuare a vivacchiare, tutti lo sanno, sotto l’ombrello di poteri vari, domestici ed europei, che fanno conto che l’Italia si sia inabissata nella sua mediocrità, nella sua inerzia, nella quasi totale assenza di slancio riformatore e di volontà di competere. Il clima è di una delegittimazione controllata e impaludata con vecchi metodi. Clima insalubre, letale, per un Principe nuovo, chiunque egli sia e comunque si voglia considerare la sua cavalcata. Che fare, dunque?

Renzi sembra ritenere possibile la eterodirezione del governo Letta e dei poteri che lo puntellano. Faccia come dico io o a casa: riforme bandiera e tempi certi. Ma è realistico?  Non gli verrà negato spazio negoziale, un rango di interlocutore di prima grandezza. Per salvarsi, in altri tempi, cooptarono uno di loro, Veltroni, nel ruolo di rinnovatore e autore di una “bella politica”. Sappiamo come andò a finire. Con il caminetto delle correnti e il fuoco della vocazione maggioritaria e delle primarie presto spento, ne restò solo cenere. Ipotesi: se Renzi non ripropone sé stesso come identità alternativa, e non fa dell’8 dicembre un plebiscito rivoluzionario, chiedendo la testa del Re e del suo Visir, anche a costo di rotture profonde, è fottuto.

© - FOGLIO QUOTIDIANO Giuliano Ferrara,  6 dicembre 2013 - ore 06:59

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