Il Papa che si rade, maddài. Dai disegni di Molino

al sistema mediatico il mondo toglie a chiesa e Papa il loro quid cristiano

da un articolo sul Foglio quotidiano del 4.12.2013

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Se ogni secolo, per rinsavire, ha bisogno di santi che lo contraddicano in nome di Cristo, quello attuale, popolato da troppe madame Verdurin extra muros e intra muros, mendica parole malgarbate come queste. Invettive che nulla hanno di mondano e perciò ricordano a ogni uomo la pochezza del suo potere sul tempo e sulla vita. Là dove impera l’orgogliosa frenesia del fare la storia, un po’ da salotto e un po’ da revolución, si può contrapporre solo l’umile assunzione di ciò che nel tempo e nello spazio non è soggetto alle mode e non può mutare. Chi voglia soccorrere un’epoca in cui la rivoluzione manifesta i suoi esiti più blasfemi deve offrire in elemosina la moneta pulita e sonante della tradizione. Per restituire il vero senso della libertà a un uomo oppresso dalla tirannia della storia che registra il meramente avvenuto, bisogna indurlo a contemplare la nobiltà della tradizione che rappresenta il possibile e perciò l’universale. Ma oggi i cristiani trovano più comodo assoggettarsi al senso ultimo di qualsiasi filosofia della storia, che finisce sempre per spiegare che quanto è avvenuto doveva avvenire, togliendo alla tradizione il regno dei significati e lasciandole quello della fantasticheria.

Chiunque voglia sanare gli uomini dall’orgoglio originale e indurli alla vera povertà, quella di ogni creatura davanti all’eternità e all’infinità di Dio, come fa Guareschi nelle sue scandalose considerazioni, dovrebbe ribellarsi a una cultura che trasforma dei semplici fatti in verità intolleranti. Dovrebbe mostrare che la storia è il cortile angusto di ciò che è accaduto e non tornerà più, mentre la tradizione è il manifestarsi dell’eterno nel tempo e non perirà mai. Una è la celebrazione grigia e senza prospettiva delle fortune dei potenti, l’altra è un mondo dalle mille dimensioni che consegna il suo destino anche all’ultimo degli ultimi. Ma la chiesa d’oggi, meaculpista per il suo passato costantiniano e il matrimonio con un potere che pur sapeva tenere a bada, finisce per fornicare con un potente che non ne vuole sapere di vincoli spirituali e morali. Così premia senza pudore Giorgio Napolitano, per mano della Pontificia Università Lateranense, in virtù del suo “generoso e sacrificato impegno nella promozione dei diritti della persona e nella tutela della dignità di ogni donna e ogni uomo (…) per la passione educativa nei confronti delle nuove generazioni (…) il cospicuo magistero e la coerente testimonianza di vita”. Non è così che si evoca almeno un senso di nostalgia di Dio, che si insinua anche nell’ultimo dei barabba un filo di speranza da indurlo a sospirare “Che bello se il mondo fosse così”.

Il senso più profondo della narrativa guareschiana, che nasce dal sacro irrompere della tradizione nelle lande profane del mondo, sta nel coraggio che oggi la chiesa non riesce più a darsi. Tuonare contro le ricchezze di qua e di là dal Tevere finendo per travolgere anche lo splendore dovuto a Dio non è affare da capitani coraggiosi, ma da furbi delle public relations. Però non produce prodigi perché anche il più abile dei pr non riuscirà mai a rendere desiderabile un mondo votato alla povertà e alla sciatteria. Non indurrà mai l’uomo a guardare in alto, ma lo costringerà a cercare in basso. Il prodigio che per secoli la chiesa ha prodotto con la sua liturgia, la sua preghiera, la sua predicazione, la sua teologia, la sua dottrina, il suo catechismo, e che oggi sopravvive a ogni voltare di pagina in opere come quelle di Guareschi e fa sospirare su quel “Che bello se il mondo fosse così”, è frutto di un miracolo capace di mostrare come sarebbe il mondo se l’uomo non si opponesse alla Grazia. Non il mondo perfetto inventato dalle ideologie: anzi, un mondo ancora piagato dal dolore, dal male e dalla morte, ma in cui tutto, finalmente, ha un senso. Un mondo trasfigurato già qui e ora per la presenza di Cristo crocifisso e della chiesa che ne distribuisce la Grazia attraverso i sacramenti per mano dei suoi sacerdoti

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di Alessandro Gnocchi e Mario Palmar

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