I ribelli siriani non sperano più in Obama

e abbracciano al Qaida

In Siria i capi di tredici gruppi ribelli hanno firmato un annuncio per dire che rifiutano di essere rappresentati dalla Coalizione nazionale siriana, la facciata politica che – pur stando fuori dalla Siria e lontano dal fronte – parla con gli Stati Uniti, l’Europa e gli stati arabi. I ribelli rifiutano anche di prendere ordini dal comando militare unificato – che loro definiscono “i generali che stanno negli hotel in Turchia”.  I gruppi combattenti che hanno firmato sono tra i più forti, soprattutto a nord – ma anche a Damasco e Homs – e hanno annunciato la creazione di una Alleanza islamica che combatterà per una Siria con la sharia come unica fonte della legge (ora in Siria la sharia è fonte della legge, ma non esclusiva). La nuova Alleanza islamica include anche Jabhat al Nusra, uno dei due gruppi che rappresentano al Qaida in Siria e che prende ordini anche dalla leadership centrale di al Qaida nascosta all’estero.

Dell’Alleanza islamica fanno parte anche la Liwa al Tawhid, la brigata più forte di Aleppo, e la Liwa al Islam, la brigata che sta conducendo la battaglia alla periferia della capitale Damasco. Gli uomini della Liwa al Islam  premono così da vicino le linee di difesa assadiste che secondo molti analisti l’attacco con il gas del 21 agosto è stato ordinato specificamente per respingerli.

Si spegne così ogni illusione sulla conferenza di Ginevra due: chi può davvero permettersi di parlare in nome dei ribelli che combattono in Siria a un eventuale tavolo della pace? I rappresentanti politici dell’opposizione in esilio ora non contano più e i loro ordini non sarebbero rispettati.

Un mese dopo il massacro con armi chimiche compiuto dall’esercito del presidente Bashar el Assad nella Ghouta di Damasco, i ribelli hanno compreso che non c’è da aspettarsi aiuto dall’America e dalla comunità internazionale e si rivolgono agli islamisti, che negli ultimi due anni hanno provato di avere la volontà di combattere. Il fatto che Jabhat al Nusra ora faccia parte di una coalizione così larga e rappresentativa dei ribelli è il segno della deriva dell’opposizione lasciata a se stessa  verso l’estremismo.

Se anche ora l’Amministrazione Obama decidesse di aiutare tardivamente i ribelli siriani, la finestra di opportunità si sta chiudendo. Adesso sono alleati sul campo con gli estremisti – non tutti i gruppi, ma alcuni fra i più importanti. Dare loro armi e sostegno, come Washington ha annunciato di voler fare nei mesi scorsi, non è più un’opzione percorribile (se non da qualcun altro, come il Qatar).

Se la Conferenza di pace a Ginevra è ora infattibile perché manca uno dei due interlocutori indispensabili e se ogni piano per aiutare i ribelli ora assomiglia davvero alla rozza ipersemplificazione fatta dagli oppositori all’intervento americano – “è come combattere al fianco di al Qaida” – anche il piano per il disarmo chimico di Assad non è ancora ben definito. L’America vuole una risoluzione Onu che contenga una risposta militare automatica secondo il capitolo 7 in caso di inadempienza di Assad.

La Russia si oppone e ieri  ha detto che non trasporterà fuori dalla Siria le armi chimiche per neutralizzarle, il lavoro sarà fatto sul posto con la presenza di truppe russe. Al posto dello strike americano, ci potrebbero essere i “boots on the ground” del presidente russo Vladimir Putin: le sue truppe dovranno difendersi dai gruppi di al Qaida e dalle brigate cecene in Siria.

FQ. di Daniele Raineri   –   @DanieleRaineri

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