I due demo-toscani e la pancia del Pd da Bettini

a Zingaretti, rispunta la lieve insofferenza per Letta e Renzi

Mentre il cielo politico ferragostano, giustamente balneare, viene solcato da appassionati voli dal sapore futurista (o nostalgico) inneggianti a Forza Italia – segno né nostalgico né futurista dell’inestricabile legame tra la storia berlusconiana e la complessiva storia di una alternativa popolare alla sinistra – dalla parte opposta ci si interroga, un po’ smarriti, sul senso vagamente dadaista di una situazione inattesa: nel centrosinistra, la leadership degli eredi di Gramsci-Togliatti-Longo-Berlinguer è contesa tra due toscani relativamente giovani, cresciuti nelle sacrestie odorose della Democrazia cristiana, Enrico Letta e Matteo Renzi. Non è tanto un richiamo ideologico, o una repulsione per la storia politica personale dei due, a suscitare sottili tensioni. In realtà, quello che percorre il corpaccione scosso e smagrito del Partito democratico è un brivido di stupore: com’è che a raccogliere il consenso elettorale più ampio, almeno secondo i sondaggi, e ad animare il confronto politico sono quelli che sembravano soltanto dei polli d’allevamento? Il piglio pragmatico e attivistico, di puro stile fanfaniano, di Letta, e “l’indisciplina di partito” che caratterizzano lo stile di un Renzi che sembra replicare gli atteggiamenti di Giovanni Gronchi trovano precedenti illustri nella storia della Dc toscana, che ha fornito soggetti di prima classe, compresa l’eccezione profetica ed “extra-politica” di Giorgio La Pira. Così è quasi automatica la reazione del “generone” politico romano, che non è ancora di esplicita contrapposizione, ma esprime una sorta di estraneità, prima ancora che politica, “geografica” alla strana coppia dei dioscuri toscani in competizione.

Sia Goffredo Bettini sia Nicola Zingaretti, così come a suo tempo ha provato a fare Fabrizio Barca – eredi di una tradizione diversa e soprattutto di un diverso insediamento, legato più organicamente alle strutture di partito e ai gangli dell’amministrazione – sono usciti dal riserbo, pur senza prendere posizione nella contesa e hanno presentato testi, documenti, riflessioni differenti. Per la verità, niente che sembri in grado per ora di mordere nell’opinione pubblica generale. Ma di certo il segnale del peso che, pur dopo le sconfitte a catena subite dai diretti eredi delle grandi famiglie politiche di Botteghe oscure e Piazza del Gesù – i D’Alema e i Marini, i Veltroni e i Bersani – una certa sinistra di partito e apparato ancora mantiene. Un’area che non si sente pronta a presentare candidature, ma vuole tornare a occupare lo spazio immenso, sul piano delle concezioni politiche e delle visioni ideologiche, lasciato scoperto da due leader toscani post democristiani assai poco interessati a riempirlo, al di là della formale concessione al “qualcosa di sinistra” che ormai non va più nemmeno al mercatino del modernariato.

© - FOGLIO QUOTIDIANO, 17/8

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