Obama non ha leve per negoziare,

i sauditi riempiono il vuoto. Barack Obama parla a bassa voce

ma non porta con sé un grosso randello, una pericolosa violazione della regola aurea della politica estera americana fissata una volta per sempre da Theodore Roosevelt. Bisogna parlare a bassa voce per negoziare soluzioni conciliatorie, e avere un grosso randello fra le mani per essere convincenti. Obama ha fra le mani tutt’al più un ferro 9, ironizzano i detrattori del presidente golfista, e cancellare l’esercitazione “Bright Star” con l’esercito egiziano non è una di quelle ritorsioni che fermano le giunte militari in assetto di guerra. Il fatto è che Obama non ha randelli a disposizione, non ha argomenti su cui fare leva per modellare l’involuzione dell’Egitto secondo uno schema gradito a Washington. Li ha persi lungo la strada tortuosa di una politica estera programmaticamente ambigua, basata su reazioni selettive alle contingenze spacciate per adesioni agli imperativi morali dell’occidente. Giovedì il presidente ha evitato di usare l’ultima, svantaggiosa leva nei confronti del governo egiziano ad interim, quella della sospensione del flusso di denaro verso l’Egitto; ieri la promessa saudita di mettere 5 miliardi di dollari sul piatto dell’esercito del Cairo – la cifra che Washington versa in quattro anni – ha fatto evaporare anche le residue illusioni dell’influenza obamiana. I militari egiziani hanno una lunga lista di protettori pronti a riempire un eventuale vuoto americano. E’ la certificazione del fatto che “noi abbiamo bisogno di loro più di quanto loro abbiano bisogno di noi”, dice l’analista Elliot Abrams; e che il generale Abdel Fattah al Sisi – scrive il sito israeliano Debka, spesso imbeccato dal Mossad – non abbia voluto rispondere alla telefonata del presidente è soltanto l’ultima conseguenza della politica senza leve di Obama.

© - FOGLIO QUOTIDIANO di Mattia Ferraresi   –   @mattiaferraresi, 17/8

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