La “madre delle tangenti” è sempre incinta,

ma in Mps non ce n’è traccia di tangenti

I pm di Siena chiudono le indagini su 11 indagati (c’è l’ex presidente Mussari) per false comunicazioni e insider trading.

La “madre di tutte le tangenti” è sempre incinta, a giudicare dalla frequenza con cui in Italia viene evocata da giornalisti, analisti e politici d’assalto. Eppure questa signora gravida, sempre utile a solleticare i peggiori istinti di piazza, dalle parti del Monte dei Paschi di Siena non è stata ancora avvistata. Ieri doveva essere il grande giorno per lo “scandalo del millennio”, come fu ribattezzato dopo lo scoop del Fatto quotidiano dello scorso 22 gennaio relativo a un’operazione di ristrutturazione di titoli derivati tra Mps e due banche internazionali, eppure tanto scandalo sembra finito a lenticchie. La procura di Siena ha depositato l’avviso di chiusura delle indagini sull’acquisizione del 2007 della Banca Antonveneta da parte di Mps, avvisando 11 indagati che saranno imputati solo dopo l’eventuale rinvio a giudizio, comunque atteso per settembre. Di accuse di corruzione non c’è traccia (“Di tangente – ha detto ieri il pm Antonino Nastasi ai giornalisti – avete parlato solamente voi”). Certo, l’ex presidente di Mps, Giuseppe Mussari, risulta indagato assieme ad altre 8 persone; lui anche per insider trading perché, “essendo in possesso di informazioni privilegiate e, in particolare, di informazioni relative all’avvenuta stupula dell’accordo con Banco Santander per l’acquisizione di Banca Antonveneta, comunicava dette notizie” al sindaco e al presidente della provincia di Siena (che avevano ovviamente un ruolo nella Fondazione controllante Mps) e a un responsabile di JpMorgan. Mussari poi, assieme all’ex direttore generale Antonio Vigni e l’ex Cfo Daniele Pirondini, è indagato per concorso in false comunicazioni sociali (agli azionisti e al pubblico) e ostacolo all’esercizio delle funzioni delle autorità pubbliche di vigilanza (cioè Banca d’Italia). Per illeciti amministrativi, invece, sono indagate la stessa Mps e JpMorgan. Tutte questioni che – se dimostrate – certificheranno un modo di fare banca tutt’altro che impeccabile, spesso clientelare e inefficiente.

Tuttavia non c’è traccia alcuna di tangenti, o di quella “finanza opaca e massonica” di cui parlò il Fatto quotidiano, o della “nuova Tangentopoli che – avvertiva Repubblica – sta terremotando l’Italia”. Allo stato dell’arte si potrà ritenere pure che l’acquisizione di Antonveneta, venduta nel 2007 da Santander a Mps per 10 miliardi di euro, sia stata oltremodo onerosa. Qualcun altro potrebbe obiettare che eravamo allora alla vigilia della crisi, che Mps temeva in quel momento di rimanere esclusa da una stagione di fusioni bancarie significative, che si applicarono criteri utilizzati in operazioni simili di altri paesi. Si potrà imputare anche un certo tasso di sprovvedutezza, ma al momento, dopo mesi di indagini giudiziarie e gogna mediatica preventiva, non c’è prova che “l’esborso di Mps fu appesantito da una mazzetta” (Fatto). Che fosse per i dirigenti Mps, per Santander, per il Pd locale, per quello nazionale, per i partiti tutti, quella mazzetta al momento non c’è. E di che “mazzetta” abbiamo almanaccato per mesi, in piena campagna elettorale! Rep., che nell’ottobre 2012 aveva parlato di “madre di tutte le tangenti” per la vicenda di Finmeccanica in India, lo scorso gennaio cambiò subito cavallo.

Per i cronisti Carlo Bonini e Andrea Greco la “madre di tutte le tangenti” era diventata quella di Mps, “l’ipotesi investigativa principale su cui si muovono i pm della procura di Siena Giuseppe Grosso e Antonino Nastasi”, altro che robette come insider trading e aggiotaggio: “I 9 miliardi vengono versati in due tranche e su conti distinti. 7 miliardi direttamente a Santander. 2 miliardi su un conto di una banca londinese nella disponibilità dello stesso Santander – scrivevano – E’ la provvista della tangente. O, almeno, è questa l’unica logica spiegazione”. Un “Armageddon giudiziario” tale che i giudici – chissà per quale slancio di bontà – avrebbero voluto “attendere l’esito del voto di febbraio prima della sua ‘discovery’”. Alla stessa logica ferrea si piegò anche il Sole 24 Ore, giornale della Confindustria. Titoli strillati e piazze grilline piene. Qualche mese dopo, la discovery c’è e la tangente ancora no. Mps, certo, è coinvolta in altri filoni d’inchiesta, come quello sulle operazioni finanziarie Alexandria e Santorini, o quello su alcuni dirigenti dell’area finanza accusati di fare la “cresta” su certe operazioni (la cosiddetta “banda del 5 per cento”, come fu enfaticamente ribattezzata). Intanto però abbiamo già saputo, due settimane fa, che il contratto di scambio titoli tra Mps e Nomura – “ovviamente” stretto per coprire i buchi dell’acquisto tangentizio di Antonveneta – non era illecito né occulto; lo ha certificato il gip respingendo una richiesta di sequestro e lo hanno confermato i giudici del riesame. Le novità però non sembrano finite, direbbe qualche collega d’assalto.

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