Consociativismo unica via.Il carteggio

Ministero-Confindustria che svuota i salari di produttività

Con la recente risposta del ministero del Lavoro alla istanza di interpello presentata da Confindustria – in merito alla legittimità di quanto pattuito nell’Accordo sulla detassazione di produttività nell’industria per il 2013 – si dimostra ancora una volta come, in questo paese, il puntiglio regolatorio sembri andare di pari passo con la disapplicazione della regola, e, nello specifico, il sistema di detassazione di produttività sia ormai un sistema di detassazione tout court. Dall’accesso libero alla detassazione nel 2008, alla previsione della necessaria presenza di un accordo decentrato nel 2011, fino al decreto della presidenza del Consiglio del 22 gennaio 2013 – che ha fissato paletti ben precisi per l’ottenimento dello sconto fiscale – la legge ha di volta in volta sopperito alle mancanze della autonomia negoziale sul tema della produttività. Dato l’alto rischio di elusione fiscale connesso alla scarsa capacità di innovazione delle parti sociali, che ha portato al proliferare di accordi-fotocopia dalla dubbia portata in termini di produttività (si veda www.bollettinoadapt.it, indice A-Z, voce Detassazione), il decreto sulla detassazione per il 2013 aveva tentato di inasprire i criteri per l’ottenimento del beneficio. Eppure lo stesso decreto risulta, nella sua applicazione, quantomeno edulcorato, perché quello che era uscito dalla porta pare ora rientrare dalla finestra.

Il decreto di gennaio aveva previsto la riconduzione del beneficio fiscale alla contropartita della maggiore produttività, da provarsi attraverso il soddisfacimento di almeno una condizione fra le due stabilite: 1) reale incremento di produttività/redditività/qualità/efficienza/innovazione misurato con indicatori quantitativi, e/o 2) presenza di almeno tre interventi in quattro aree dell’organizzazione del lavoro (orari, ferie, mansioni e tecnologie). Temi, questi ultimi, che le stesse parti sociali (eccetto la Cgil) usavano come cavallo di battaglia nell’accordo sulla produttività del novembre 2012, impegnandosi, testualmente “ad affrontare in sede di contrattazione collettiva le questioni ritenute più urgenti quali (…) equivalenza delle mansioni, integrazione delle competenze (…); la ridefinizione dei sistemi di orari e della loro distribuzione anche con modelli flessibili; (…) l’impiego di nuove tecnologie”. Nonostante gli intenti, l’accordo per la detassazione 2013 dell’industria – sottoscritto poi lo scorso 24 aprile da Confindustria, con Cgil, Cisl e Uil – ha invece ridotto le determinanti di produttività al solo tema degli orari di lavoro, tralasciando di considerare le mansioni, che pure solo qualche mese prima erano state definite “presupposto necessario per consentire l’introduzione di modelli organizzativi più adatti a cogliere e promuovere l’innovazione tecnologica e la professionalità necessarie alla crescita della produttività e della competitività aziendale”. Paradossale l’appiattimento sugli orari proprio in un settore, quello industriale, ad alto valore aggiunto, dove professionalità e tecnologie dovrebbero costituire l’essenza della competitività. Ma, al di là dei contenuti, la vicenda della detassazione è sintomatica della paralisi di un sistema.

Prima un decreto fissa criteri precisi, con tanto di sistema di monitoraggio degli accordi per la verifica di conformità, poi, nel conservatorismo che tutto può e nulla distrugge, arriva una circolare ministeriale a specificare che “la rispondenza delle voci retributive introdotte alle finalità volute dal legislatore rappresenta un elemento di esclusiva valutazione da parte della contrattazione collettiva, cosicché l’agevolazione non può ritenersi condizionata ai risultati effettivamente conseguiti” e, infine, un interpello offre la spalla a Confindustria, dando una interpretazione a dir poco estensiva del decreto e indicando come corretto identificare “quale indicatore quantitativo del miglioramento della produttività in senso lato la modifica dell’orario attuata in azienda” e aggiungendo che questo non deve costituire “un elemento di novità in relazione al contratto collettivo nazionale applicato in azienda ma un elemento di novità per le aziende che le applicano”.

Una delle condizioni di efficienza di ogni sistema di tassazione vorrebbe che la base su cui la imposta (in questo caso lo sconto) si applica sia chiaramente controllabile da parte del legislatore: mentre pare irrealistico che le modifiche di orario a livello aziendale o territoriale possano essere verificate. Oltre ai formalismi, attribuire al sistema degli orari la determinante della crescita della produttività nel settore industriale di un’economia matura come quella italiana, tralasciando gli aspetti di capitale umano e tecnologia, significa essere proiettati al passato.

di Francesca Fazio (ADAPT Research Fellow) F.Q 10/7

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