Se la felicità è tagliare l’Imu…
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L’idea di eliminare l’Imu sulla prima casa suscita molti entusiasmi.
Ma è una tesi populista. Perché bisognerebbe indicare con chiarezza dove trovare le risorse per recuperare il gettito perduto. O quali spese si intendono tagliare. E queste somme non potrebbero avere utilizzi più proficui?
Leggi anche articolo qui sotto “ la produttività…. ). Dobbiamo fare le riforme vere ferme da anni in Italia e già operanti in Europa e allora l’alta tassazione serve. Ma se invece si sua per far rimanere nello stato attuale il paese costretto a piangere dalla Merkel per ottenere pietà, allora no e allora W il populismo !! IL 78% degli italiani è d'accordo sulla abolizione. ( Opact)
26.04.13 Massimo Bordignon, La Voce
1) TUTTI I NEMICI DELL’IMU
L’Imu ha tanti difetti, a cominciare da una base imponibile mal definita perché costruita a partire da un catasto antico e dunque ormai poco rappresentativo dei valori di mercato delle abitazioni. È poi non chiaro di chi sia la responsabilità dell’imposta, visto che una parte del gettito va allo Stato e non al comune. Non è neppure ovvio se il presupposto giuridico dell’imposta debba essere solo il possesso del patrimonio, oppure debba configurarsi come una “service tax” e perciò almeno in parte estesa anche ai non proprietari, visto che il suo scopo fondamentale è finanziare i servizi indivisibili offerti dai comuni, i cui benefici sono solo parzialmente correlati al valore delle abitazioni.
Saggezza vorrebbe che di questi problemi e di come superarli si discutesse in sede di riforma dell’imposta e che su questo il nuovo governo prendesse un impegno esplicito. Invece il dibattito politico ha assunto i toni di una crociata ideologica, tant’è che il Pdl pare faccia dell’eliminazione dell’Imu sulla abitazione di residenza la condizione essenziale per la sua partecipazione al governo Letta. E Silvio Berlusconi non è il solo politico a mostrarsi iper-refrattario all’Imu. Durante la campagna elettorale, tutti i leader si sono dichiarati favorevoli a una riduzione dell’imposta sulla abitazione principale, inclusi, tanto per dire, Mario Monti e Beppe Grillo. E perfino Susanna Camusso, la segretaria della Cgil, ha indicato (nelle sue consultazioni con l’ex segretario del Pd) nell’abolizione dell’Imu fino a 1.000 euro sulla prima abitazione, il principale suggerimento di politica economica della sua organizzazione al nuovo governo.
2) È L’IMU IL VERO PROBLEMA?
Questo accanimento sull’Imu, in un paese che ha perso 8 punti di Pil in cinque anni e che ha un tasso di disoccupazione giovanile attorno al 40 per cento, lascia francamente basiti. È ovvio che in un paese di proprietari di abitazioni, proporre l’eliminazione dell’imposta susciti consensi diffusi ed entusiasmi bipartisan. Ma si deve tener conto anche delle alternative: dove trovare le risorse per finanziare l’eliminazione dell’imposta, in primo luogo, ma anche chiedersi a quali altri utilizzi, diversi dall’abolizione dell’Imu, si potrebbero destinare quelle stesse risorse.
A questo proposito, è bene anche ricordare i vantaggi dell’Imu. In primo luogo, come dimostrano le stime, con tutti i suoi difetti, l’Imu sulla prima abitazione se la cava benino in termini redistributivi. Circa la metà delle famiglie italiane non la paga o perché non possiede un’abitazione (e questi sono generalmente i più poveri) o perché la detrazione annulla l’onere di imposta. Poi, il pagamento dell’Imu, in misura maggiore della vecchia Ici, è concentrato prevalentemente sugli scaglioni di reddito più elevati, come è ovvio visto che esiste un correlazione positiva tra il reddito e il valore del patrimonio immobiliare.
In secondo luogo, si devono considerare le alternative. Per recuperare i quattro miliardi di gettito dell’Imu sulla prima casa (che diventerebbero otto se, come vuole il Pdl, si restituisse anche l’imposta già pagata) , bisognerebbe aumentare le tasse sui redditi, dei lavoratori o delle imprese, o sui consumi. Ed è difficile argomentare che nelle condizioni di crisi economica attuale, tagliare un’imposta sul patrimonio per aumentarne una sui redditi o sui consumi sia la cosa migliore da fare da un punto di vista di crescita o di distribuzione del carico fiscale. Si può senz’altro cercare di ridurre, invece, la spesa pubblica. Ma in questo caso vorrei si dicesse esattamente quali spese si intende tagliare. E di nuovo, se si trovano quattro o otto miliardi riducendo le spese, forse sarebbe meglio spenderli per tagliare il costo del lavoro, fiscalizzando gli oneri sociali sui nuovi assunti, o per finanziare interventi di welfare più sensati a protezione delle nuove povertà. E se invece si intende semplicemente aumentare il debito pubblico, ammesso che si possa fare, è bene ricordarsi che questo vuol dire soltanto nuove e maggiori tasse in futuro (ci sono da pagare anche gli interessi), di nuovo sui redditi o sui consumi, visto che l’imposta sulla proprietà immobiliare verrebbe abolita.
In conclusione, il dibattito sull’Imu mostra un tasso di populismo davvero preoccupante. Se le forze favorevoli alla sua abolizione dovessero prevalere, sarebbe il caso di renderne almeno espliciti i costi alla opinione pubblica. Se, per dire, si decide di abolire l’Imu finanziandola con un incremento dell’Iva o dell’Irpef, oppure con un bel taglio alle pensioni, lo si faccia scrivendo esplicitamente “contributo straordinario per finanziare l’abolizione dell’Imu”. Vediamo se il consenso straordinario e bipartisan a favore dell’abolizione dell’imposta resterebbe a quel punto invariato.
PS L’articolo è stato scritto e pubblicato tre giorni prima del discorso programmatico del neo-premier. Che in tale occasione ha annunciato lo stop dei pagamenti dell’Imu a giugno “per dare il tempo a Governo e Parlamento di elaborare insieme e applicare rapidamente una riforma complessiva che dia ossigeno alle famiglie, soprattutto quelle meno abbienti”. Non è chiaro a cosa questo preluda; se a un azzeramento tout court dell’imposta sulla prima casa o ad una sua revisione a gettito più o meno invariato. Se la seconda, può trattarsi di una buona idea e consiglierei al Governo di concentrarsi in particolare su una revisione rapida del catasto che, se svolta utilizzando i dati dell’Agenzia del Territorio invece dei metodi tradizionali, potrebbe essere fatta presto e bene, eliminando così la principale distorsione dell’imposta e migliorandone l’efficacia distributiva. Se invece s’intende solo abolirla, non si può che ribadire quanto già affermato nell’articolo. L’imposta sugli immobili, incluse le abitazione principali di residenza, è non a caso centrale in quasi tutti i sistemi esistenti di finanziamento municipale; una volta abolita, andrebbe sostituita con trasferimenti finanziati dalla fiscalità generale e quindi con maggiori tasse su redditi e consumi o con minori spese. Si osservi anche che in un altro punto del suo discorso, il Presidente del Consiglio pone come obiettivo prioritario del suo governo sul piano tributario “ridurre le tasse sul lavoro, in particolare su quello stabile e per i giovani neo assunti”. Condivido, questa è l’emergenza vera. Ma allora non sarebbe più sensato utilizzare a questo fine i 4 miliardi che servirebbero per eliminare del tutto l’Imu sull’abitazione di residenza?
Due scelte credibili
È finalmente chiaro a tutti che l'imposizione fiscale in Italia deve scendere. Rimangono però due questioni alle quali rispondere. Primo: quali imposte ridurre? Secondo: come finanziare la perdita di gettito? È più facile rispondere alla prima domanda. E da questa iniziamo. Lo scopo degli sgravi deve essere quello di ridare più potere d'acquisto ai cittadini, di incentivare la domanda e l'offerta di lavoro. Quindi le imposte da ridurre sono quelle sui redditi medio bassi e quelle che, a causa del cuneo fiscale, rendono costoso assumere. Non è chiaro perché invece tanto del dibattito verta intorno all'Imu. Eliminando quest'ultima, si dà un po' più di reddito ma non si creano incentivi a creare posti di lavoro. Tanto che la battaglia contro l'Imu sembra aver assunto più toni simbolici e populisti che poco hanno a che vedere con la razionalità economica.
La risposta alla seconda domanda è meno facile. Una riduzione delle imposte di dimensioni adeguate a far ripartire un'economia disastrata come la nostra deve essere notevole: attorno al 4 per cento di Prodotto interno lordo (Pil) in un orizzonte di due-tre anni.
Tali tagli farebbero però aumentare il deficit. Se non si facesse altro, ci ritroveremmo pressati dai mercati e da Bruxelles. E se, come spesso è accaduto in passato e come ha fatto il governo Monti, fossimo costretti ad alzare di nuovo le imposte saremmo di nuovo al punto di prima. Queste politiche affannose di stop and go non servono a nulla, anzi peggiorano la situazione confondendo cittadini, investitori e mercati. L'alternativa è una sola. Cominciare immediatamente con un piano aggressivo di riduzione delle aliquote e di dismissioni del patrimonio pubblico e annunciare tagli di spesa da far partire tra un anno, dopo che, sperabilmente, la riduzione delle imposte abbia contribuito a far riprendere l'economia. Su cosa tagliare, Francesco Giavazzi ha già avanzato suggerimenti su queste colonne il 29 aprile scorso.
È probabile che un piano di questo tipo faccia aumentare il deficit per un anno o due. Di quanto, dipenderà da come l'economia risponderà ai tagli di aliquote e dalle altre misure da avviare comunque per la crescita. L'esperienza recente dimostra che l'effetto espansivo di riduzione delle tasse compensa la diminuzione della domanda dovuta ai tagli alla spesa. Ma ci possiamo permettere i deficit temporanei che si manifestassero nel periodo intercorso tra i tagli di imposte (subito) ed i tagli di spesa (un po' ritardati)? La riposta è sì, a patto che le riduzioni delle spese siano credibili. In questo caso mercati, Banca centrale europea e Bruxelles ci darebbero il respiro necessario; anche loro sono preoccupati della mancanza di crescita in Italia.
I ministri del governo sono personalità di valore. Teoricamente la grande coalizione che sostiene l'esecutivo potrebbe dare la credibilità necessaria a un programma pluriennale di questo tipo. Ma se, dietro le quinte, i partiti saranno impegnati solo a trovare il momento piu appropriato per far cadere l'esecutivo e andare a nuove elezioni, allora la credibilità del piano non esiste. E senza di essa muore la speranza di far ripartire l'economia.
Alberto Alesina, da Il Corriere della Sera
4 maggio 2013 | 8:41