Berlusconi vede Prodi e pensa al voto
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ma c’è traffico intenso con i dalemiani
“Siamo quattro punti sopra, siamo tornati a essere il primo partito”. Silvio Berlusconi coltiva una riserva mentale che gli rende persino accettabile l’idea di Romano Prodi al Quirinale: le elezioni anticipate. E dunque si muove in maniera ambigua, un po’ coltiva l’idea delle trattative e osserva interessato i movimenti di Massimo D’Alema dentro il Pd, ma non sembra temere nemmeno troppo le conseguenze dell’elezione di Prodi, cioè il voto. Lui pensa di vincere, come insistono nel dire gli interpreti del suo animo più bellicoso: “L’idea di una campagna elettorale lo entusiasma”, spiega la pasionaria Daniela Santanchè. Ma il Cavaliere, si sa, tende a suonare più di uno spartito contemporaneamente, e dunque ieri era interessante osservare, e ascoltare, il lungo colloquio tra l’avvocato Niccolò Ghedini e il super dalemiano Ugo Sposetti, l’ex tesoriere dei Ds che ha anche incontrato Denis Verdini e poi almeno una decina di deputati di rilievo del Pdl nel corso dell’intera giornata. E di cosa parlavano mai? Ma del quarto scrutinio, ovviamente, e della candidatura di D’Alema, un nome che Berlusconi non può e non vuole votare (“i miei elettori non capirebbero”), ma che comunque il Cavaliere è disposto a “non ostacolare”. Chissà. Come sussurra Renato Schifani, mentre lascia una riunione del partito: “C’è Prodi, è vero. Ma da qualche parte c’è pure D’Alema…”.
Berlusconi intuisce il rischio, vede stagliarsi all’orizzonte l’oscuro profilo del suo nemico Prodi eppure quasi se ne disinteressa. Alla Camera, il vecchio Fabrizio Cicchitto digrigna i denti mentre Franco Marini viene impallinato in Aula al primo scrutinio: “E’ finita”, dice. “Bersani non regge l’accordo con noi, qua eleggono Prodi, altro che. E’ ovvio. Bisogna essere imbecilli per non vederlo”. Eppure, dopo aver intorcinato tutto il negoziato col Pd sulla candidatura fallita di Marini, il Cavaliere ieri ha lasciato le trattative esauste nelle mani del gran visir Gianni Letta ed è partito in aereo per tenere un comizio elettorale a Udine. Come se non fossero affari suoi. Prima di lasciare Roma, il grande capo ha pure dettato ai suoi uomini una linea dai tratti abbastanza inverosimili, specie dopo le due inutili votazioni di ieri alla Camera. “Dobbiamo continuare a votare scheda bianca assieme al Pd. Poi, al quarto scrutinio, torneremo su Marini per eleggerlo assieme a Bersani”, ha detto. Il Cavaliere lascia intendere che il patto con il segretario del Pd sia ancora in piedi. E in effetti sembra essere così, lo conferma anche Verdini, l’ambasciatore infaticabile: “Il Pd ha preso uno zero virgola più di noi, dunque adesso tocca a loro proporci un altro nome per il Quirinale”. Dunque il Pdl resta fermo, ma si continua a trattare. Eppure Renato Brunetta, il capogruppo alla Camera, sembra lavorare per un risultato opposto, e spinge il periclitante Pd nelle braccia di Beppe Grillo (e di Prodi): “Il Pd è un partito a pezzi. Dovrebbe sciogliersi”, dice lui. Parole, per tono e contenuto, quasi identiche a quelle pronunciate ieri da Maurizio Gasparri (“stanno travolgendo l’Italia con le loro beghe interne”) e dalla stessa Santanchè. A prima vista è una follia, ma forse c’è del metodo: ognuno recita la parte che il Cavaliere ha scritto per lui. Dunque ci sono gli ambasciatori discreti e informati, Letta e Verdini, e poi ci sono gli uomini della campagna elettorale. Tutto si tiene nell’ordinata confusione del Castello berlusconiano.
Il nome di Marini resta nel freezer, congelato, ma in attesa della quarta votazione, a maggioranza assoluta degli aventi diritto, la diplomazia è tornata in attività. Il gran visir Gianni Letta riavvolge il meccanismo della trattativa da dove era partito e nei suoi colloqui con l’altro Letta, Enrico, ripertica alcuni nomi dei giorni scorsi: Tesauro, Contri… Ma ce n’è uno che nel Pdl nessuno può fare: D’Alema. “Quel nome, se esiste davvero, tocca alla sinistra avanzarlo”. Così Sposetti continua a bussare e a promuovere i baffi di D’Alema, mentre anche Matteo Renzi viene cautamente sondato. Lo si maneggia con cautela il nome di D’Alema, l’antidoto a Prodi. Qualcosa si muove, negli angoli bui. Il quarto scrutinio forse scivolerà a sabato, e nel Pd ci saranno le quirinarie: i grandi elettori sceglieranno il candidato alla presidenza della Repubblica. Dice il dalemiano Nicola Latorre: “C’è più di un nome in ballo”.
di Salvatore Merlo – @SalvatoreMerlo