Patto flop, con il Cav. non si tratta
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Senza fatti nuovi, prevedibile il ritorno di Prodi dall’Africa
Il patto non regge, come previsto ieri. I nemici del patto gongolano, e forse hanno anche un piano risolutivo su Romano Prodi, sebbene anche quel nome provochi divisioni e diffidenze, in specie con il gruppo Espresso-Repubblica. Marini ha raccolto molti apprezzamenti, alcuni dei quali anche sinceri, ma pochi voti. Come da noi scritto ieri, è risultato un tentativo di mettere una pecetta su una ferita aperta e profonda, che sanguina. La ferita è il blocco della politica e della governabilità, e la sua sostituzione con giochi di guerra che durano da molto tempo e, campagne anticasta aiutando, sono cresciuti a dismisura. Il settanta per cento degli italiani ha votato Bersani, Berlusconi e Monti. Il Parlamento è, come si dice, “nominato” in base alla vecchia legge che consente di scegliere gli eletti alle segreterie politiche (primarie a parte, e qualcosa devono avere contato nell’emancipare gli eletti da una sudditanza automatica). Comunque un forte dissenso, numericamente capace di affossare la maggioranza dei due terzi, ha affondato la proposta Bersani raccolta da Berlusconi e Monti.
Marini, che era più lento che rock come uomo simbolo di una politica che riprenda a decidere, è finito appena sopra la maggioranza assoluta, con 521 voti. Rodotà, il candidato di Grillo adottato subito da Vendola, che aveva firmato un accordo elettorale con il Pd per definire le questioni importanti a maggioranza e lo ha fatto saltare con cinismo alla prima occasione, è andato bene, ha ottenuto più voti del previsto. E’ partita una campagna forte sul nome di Rodotà, che si avvale dei simbolismi e dei meccanismi di comunicazione e di pressione del Web. E poi – lo sapete – i renziani sono andati su Chiamparino (ottima performance), parecchi voti dispersi, e oltre un centinaio di sinistre schede bianche dall’interno del Pd (in maggioranza).
Tutti gli osservatori mettono a fuoco la crisi del Partito democratico, che si è diviso nel voto. Ma non si tratta di una dinamica interna, di tipo congressuale. C’è anche questo, complicato dal fenomeno Renzi e dal modo parziale in cui si sono chiusi i conti del conflitto con Bersani. Conta lo stress della leadership di Bersani, che dopo il successo delle primarie ha prodotto una insufficienza di visione e di sapienza tattica. E che ha condotto il partito prima a una sorta di sconfitta elettorale mascherata dal premio di maggioranza alla Camera per lo 0,3 per cento di vantaggio su un Berlusconi in fenomenale rimonta, e poi alla tragicommedia umiliante della vana ricerca di un accordo con Beppe Grillo per una soluzione di governo pomposamente intitolata al cambiamento, nel rifiuto sistematico, smentito solo dall’accordo per Marini presidente, di una interlocuzione politicamente significativa con l’avversario.
La spaccatura del Pd nasce semplicemente dal fatto che c’è stato un negoziato con Berlusconi. La paralisi della governabilità era già stata accertata, per via del veto a sinistra a contatti negoziali in vista di una grande coalizione o di altre soluzioni bipartisan, rese necessarie dai numeri del Senato. Intorno a quel veto, sempre quello, è caduto il patto su Marini. E a meno di non trovare una soluzione di alleanza più o meno dissimulata con Grillo, il problema si ripropone dopo l’elezione del presidente della Repubblica.
Probabilmente la soluzione che si avvicina, con il passaggio dal quorum dei due terzi alla maggioranza semplice, è Prodi. Perché D’Alema, come soluzione forte e di orgoglio del partito, sarebbe una scelta divisiva nell’ambito della sinistra protestataria e antipolitica, e le diffidenze su di lui sono molto superiori a quelle sollevate da Prodi. D’Alema è pur sempre colui che ha detto nell’ultima riunione della direzione del Pd che bisogna togliersi il complesso dell’intesa con l’avversario, perché tra i molti fallimenti del progetto del centrosinistra – ha aggiunto – c’è per l’appunto l’incapacità di muovere il sistema e la situazione politica anche contraendo patti e facendo equilibrati compromessi. Se Berlusconi, che non crede nella possibilità di evitare la candidatura di Prodi con nuove proposte, o ci crede poco, non farà una mossa risolutiva; e se Bersani, che non ha un controllo pieno del partito, non inventerà qualcosa per ostacolare il ritorno di Prodi, che parte del Pd tiene per nefasto, il prof. tornerà dall’Africa per un meritato trionfo.
© - FOGLIO QUOTIDIANO, 19/4