Grazie, signora Thatcher

Per chi come me studiava in Inghilterra alla fine degli anni Ottanta la signora

Thatcher era una specie di spaventapasseri. Era diventata lo zimbello dei gruppi rock e punk che andavano per la maggiore come i Clash. Era anche lo zimbello degli economisti più bravi (come Steve Nickell a Oxford e Charlie Bean a LSE) che studiavano tutti economia del lavoro e con i loro studi evidenziavano i costi sociali delle politiche fiscali e monetarie restrittive della Lady di Ferro e della sua vittoriosa battaglia contro i minatori.

Ma oggi che non c’è più di lei rimane soprattutto una cosa: è stata un politico che ha messo le idee in cui credeva al centro della sua azione di governo e che ha dato una svolta indelebile al destino economico del suo paese. Prima della signora Thatcher l’Inghilterra stava affondando sotto il peso del suo passato sclerotizzato in istituzioni ormai inadatte ai tempi. “Labour isn’t working” fu lo slogan (azzeccato) della campagna elettorale vittoriosa della Lady di Ferro. Dopo di lei, il neo-laburista Blair ha solo aggiustato il tiro in campo scolastico, lasciando sostanzialmente inalterato l’impianto delle politiche dei Tories prima di lui. Sarà un caso, ma il Regno Unito è l’economia il cui Pil è cresciuto più rapidamente di tutte le grandi economie europee dopo il 1979: più della Germania, della Francia, dell’Italia e della Spagna. Una buona parte di merito va probabilmente alle controverse politiche della signora Thatcher.  

La Voce ,Francesco Daveri

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