Trump, il mio drammone domestico e una politica che non capisco più
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Trump è evidentemente un simpatico, mentre Hillary è fredda, professionale, e Sanders impalatabile nel suo demenziale assetto socialista. La Arcore di Trump in Florida è a metà tra l’Arcore originale in Brianza e il palazzo di Saddam Hussein a Baghdad, Saddam di cui the Donald è un fervente ammiratore postumo
di Giuliano Ferrara | 20 Marzo 2016 ore 09:30 Foglio
Il mio caro amico pensatore newyorkese Franco Zerlenga, persona tra le più intelligenti e autentiche io conosca, continua a mordermi il collo sul tema Trump. Io lo provoco, lui mi controprovoca. Via mail. Io dico: è un cialtrone, non sa niente delle cose di cui parla. Lui: è un fenomeno autenticamente americano, ha messo in mutande un ceto di irresponsabili che ora vogliono ricorrere a ogni sorta di trucco per eliminarlo. Franco è democratico da sempre, ha votato e finanziato Obama con affetto e senza illusioni già due volte, era un ammiratore strenuo di Bill Clinton, gli piacciono presidenti forti e capaci, ma aggiunge, riferendosi anche a Trump: il sistema istituzionale americano è così perfetto che può tollerare anche di essere governato da uno stronzo, un jerk. Non so come voterebbe se ci fosse Trump in pista, ma so che Trump è divisivo al punto da mettere zizzania in una coppia intrisa di passione politica e democratica come Franco ed io siamo ormai da quindici anni.
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Il guaio è che tutto quello che Franco dice di Trump io l’ho detto vent’anni fa di Berlusconi. Bombardo il mio amico e sodale di articoli di Brooks, di Kristol, di Douthat, moderati, conservatori, neoconservatori, gli inoltro pezzi del Wall Street Journal molto bene informati sulle debolezze di the Donald, brani video che infantilizzano il candidato che a lui non dispiace affatto, e lui feroce, crudele, respinge tutto, confuta, critica, usa argomenti forti e spesso inesorabili, eppoi dice che Murdoch è geloso del successo di Donald, e per questo lo perseguita, e gli altri, quelli dell’establishment, non sanno chi sono i nemici dell’America, cedono ai pregiudizi e valgono un’unghia di Trump. E’ impietoso anche con i democratici indignados, moralizzatori un tanto al chilo. Mi ricorda i miei argomenti contro Ernesto Galli della Loggia o Sergio Romano o Piero Ottone o Scalfari e compagnia agli albori del berlusconismo incalzante: spiccicato.
Trump è evidentemente un simpatico, mentre Hillary è fredda, professionale, e Sanders impalatabile nel suo demenziale assetto socialista. La Arcore di Trump in Florida è a metà tra l’Arcore originale in Brianza e il palazzo di Saddam Hussein a Baghdad, Saddam di cui the Donald è un fervente ammiratore postumo. Stesso piacionismo del Cav., stessi butler innamorati del seigneur du village, stessa megalomania: un simpatico, appunto, e un geniale dilettante che dice spesso cose giuste e sempre, rigorosamente, nel modo sbagliato. Eppure, se Berlusconi nel contesto della Repubblica delle procure era il cacio sui maccheroni, Trump, in un paese rimpicciolito da Obama ma con un’economia gagliarda, funziona come qualcosa di meno promettente per i non conformisti, come uno che abbia sequestrato il politicamente scorretto senza crederci, da una piattaforma newyorkese upper west side che non rende testimonianza, in termini di esperienza, al suo dire e al suo atteggiarsi. Non mi fido. Mi sembra più scorretto perfino Ted Cruz, che è contro l’aborto e crede in Dio (mamma mia, che brivido) e non crede nello stato tuttofare.
Se vi ho brevemente intrattenuto su questo drammone amicale e domestico non è per indiscrezione ma per significare che le curve della politica sono difficili da affrontare, sempre, di più in certi momenti particolari. A sentire Trump, mi sgomento di risate e di timori. A sentire Franco, dubito. A sentir me, penso come quella signora amica di Peggy Noonan, la mamma dei columnist conservatori reaganiani: la politica non la capisco più. Che disgrazia.
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