Il patto dietro all'islamizzazione di Bruxelles
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Così il Belgio accettò il ricatto suicida dell’Arabia Saudita: greggio in cambio di islam. E il re Baldovino siglò la trasformazione del “laboratorio multiculti” nel nido del jihad
L’allora ministro della Giustizia belga, Pierre Wigny, con il re saudita Faisal
di Giulio Meotti | 21 Marzo 2016 ore 18:31 Foglio
"Bruxellistan”. “Belgistan”. “Molenbeekistan”. Si sprecano ormai le definizioni per indicare la trasformazione di quel paese fatto di caffè, di teatri, di circoli municipali, di carillon, nella base delle stragi di Parigi del 13 novembre. Per usare il titolo del libro di Felice Dassetto, sociologo dell’Università cattolica di Lovanio, è “L’iris et le croissant” (il giaggiolo, il simbolo di Bruxelles, e la mezzaluna islamica). “Le antiche città del Belgio sono state le culle dell’arte e della cultura cristiana”, ha scritto l’Economist qualche numero fa. “Ma così come il ruolo del cristianesimo è scemato, un nuovo credo, l’islam, sta guadagnando importanza”.
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Come rivela un recente sondaggio del Centre Interdisciplinaire d’Etude des Religions et de la Laïcité, nella capitale dell’Unione europea i cattolici praticanti sono scesi al dodici per cento della popolazione, mentre il diciannove per cento sono musulmani praticanti. Succede allora che la città di Maaseik, resa famosa da Jan Van Eyck con la sua Adorazione dell’agnello mistico, sia diventata celebre per il reclutamento di jihadisti dell’Isis. Come ha fatto Molenbeek, la “Piccola Manchester” che il sindaco socialista Philippe Moureaux definiva orgoglioso “laboratorio socio-multiculturale”, a diventare il quartier generale del jihad europeo da Atocha al Bataclan, il “carrefour de l’islamisme”, il crocevia dell’odio islamista in Europa, come lo definisce Libération? Nel 1974, il governo belga riconobbe ufficialmente la religione islamica. Fu il primo paese europeo. Il risultato immediato, nel 1975, fu l’inserimento della religione islamica nel curriculum scolastico. “Fu una decisione del re belga Baldovino”, dice al Foglio Michael Privot, massimo islamologo belga e direttore dell’Enar, l'European Network Against Racism. Baldovino, il “re triste”, cattolico e austero, “aveva stabilito buoni legami con la monarchia saudita e il re Faisal. Questo riconoscimento avvenne nel mezzo della crisi petrolifera, perché il Belgio cercava rifornimenti dall’Arabia Saudita. Nel 1974, i musulmani in Belgio erano alla prima generazione, lavoravano nelle miniere e volevano spazi per pregare nelle moschee. Allora non c’era autorità religiosa in Belgio. Il re Baldovino offrì ai sauditi il Pavillon du Cinquantenaire con un affitto della durata di 99 anni. L’edificio sorge a duecento metri dal Palazzo Schuman e dal quartier generale dell’Unione europea; l’Arabia Saudita lo trasformò nella Grande Moschea del Cinquecentenario, diventando l’autorità islamica de facto del Belgio. Alla fine degli anni Novanta è nata una autorità formale, l’Esecutivo dei Musulmani in Belgio, che si occupa degli aspetti materiali, ma non degli aspetti teologici. Questo spazio è rimasto occupato dalla Grande Moschea sotto guida saudita”.
Tre anni fa, documenti di WikiLeaks hanno rivelato tensioni fra il Belgio e l’Arabia Saudita. Bruxelles era molto preoccupata per il fondamentalismo islamico diffuso dalla Grande Moschea. Le autorità belghe ottennero così la testa del direttore, Khalid Alabri, un diplomatico saudita. Una scelta, quella fatta dal Belgio quarant’anni fa, criticata oggi anche dal ministro francofono belga Rachid Madrane, musulmano, che al giornale La Libre ha detto: “Il peccato originale del Belgio consiste nell’aver consegnato le chiavi dell’islam nel 1973 all’Arabia Saudita per assicurarci l’approvvigionamento energetico”. Sono tante le propaggini saudite a Bruxelles. Il centro Imam al Bukhari coordina le attività culturali pro-saudite in Belgio, mentre il Centro islamico e culturale del Belgio (Cicb) è diventato la sede europea della Lega musulmana mondiale. L’obiettivo del Cicb è quello di “rafforzare la vita spirituale dei musulmani che vivono in Belgio”, aprendo moschee e scuole coraniche. Ma il Cicb, per fare qualche esempio, consiglia alle donne di consultare soltanto ginecologi femmine, scoraggia i giovani musulmani dal vendere birra e raccomanda ai musulmani di abbassare lo sguardo in presenza di una bella donna. Sermoni al Cicb chiamano Bruxelles “capitale dei kuffar” (infedeli).
Il patto col Belgio rientra in un più vasto progetto globale: dal 1979, le autorità saudite hanno speso più di sessanta miliardi di euro nella diffusione nel mondo del wahabismo, una visione dell’islam che si basa sul monoteismo assoluto (tawhid), il divieto di innovazioni (bid’ah), il rigetto di tutto ciò che non è musulmano, la scomunica dei “miscredenti” (takfîr) e la lotta armata (jihad). L’Arabia Saudita dona ogni anno un milione di euro alle venti moschee di Mollenbeek per il loro rinnovamento e manutenzione. Alla Grande Moschea di Bruxelles, dono del re belga ai sauditi, si sono formati imam come Rachid Haddach, uno dei più popolari predicatori salafiti oggi a Bruxelles. Haddach gestisce la moschea Assouna di Anderlecht. Nelle sue tirate, Haddach spiega che i bambini musulmani in Belgio, anziché andare alla scuola materna, dovrebbero stare a casa fino all’età di sei anni in modo da non essere contaminati da un ambiente non islamico. La musica? “Faresti meglio a leggere il Corano”. Il burqa? “Halal” (consentito). E gli uomini devono farsi crescere la barba. Lo ha detto il Profeta. Così, mentre la Turchia si sforzava di portare avanti una opera di educazione religiosa non estremista, gli imam del Marocco, da cui veniva la maggioranza dei musulmani del Belgio (i futuri Salah Abdeslam), venivano egemonizzati dai sauditi con il loro approccio salafita e wahabita, lo stesso cui oggi si ispira lo Stato Islamico (non a caso l’Arabia Saudita è il primo paese per reclutamenti dell’Isis).
Nel 1978, la Grande Moschea di Bruxelles venne aperta al pubblico dopo un lungo restauro a spese dell’Arabia Saudita, in presenza del re Khaled Abdulaziz Al Saud e del monarca Baldovino. E nel 1983, con la firma di André Bertouille, ministro dell’Istruzione, un regio decreto approvò anche le operazioni della Lega Islamica Mondiale a Bruxelles, che secondo Felice Dassetto serve a trasformare l’Arabia Saudita nel “polo egemone di tutto il mondo musulmano”. “L’impatto dell’Arabia Saudita, attraverso la Grande Moschea, è stato forte, diffondendo tonnellate di libri gratuitamente in tutte le lingue per le moschee e le altre organizzazioni islamiche, copie del Corano”, continua al Foglio Michael Privot. Libri che glorificano il jihad o dottamente spiegano che la moglie deve obbedire al marito “quando la invita a condividere il suo letto”. “L’Arabia Saudita ha offerto numerosi contributi alla seconda e terza generazione di giovani musulmani disposti ad andare alla Mecca e Medina per imparare le scienze islamiche”, dice Privot. “Oggi, a Bruxelles, il 95 per cento dell’offerta di corsi sull’islam è gestito da giovani predicatori formati in Arabia Saudita. I predicatori sauditi hanno anche tenuto centinaia di conferenze in tutto il Belgio e quindi hanno avuto un impatto fondamentale sulla comprensione dell’islam da parte delle nuove generazioni. In termini di diffusione della sua versione dell’islam, l’Arabia Saudita ha avuto una delle più potenti strutture politico-diplomatiche. E ne stiamo pagando il prezzo oggi”. Paghiamo le conseguenze di quel ricatto suicida. Della trasformazione del giaggiolo in mezzaluna. E del Belgio che, anziché per la Madonna di Michelangelo a Bruges, ormai fa parlare di sé per Molenbeek, pied à terre della guerra santa islamica all’uomo qualunque europeo.
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