Reinsediamento in cambio di riammissione. Il do ut des tra Turchia e Ue sui migranti
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“Resettlement” dei rifugiati siriani in Europa in cambio di “readmission” di tutti gli altri migranti in Turchia sono i due principali parametri del gran bargain che si sta ancora negoziando tra Bruxelles e Ankara
di David Carretta | 06 Marzo 2016 ore 21:34
Bruxelles. Un rifugiato siriano trasportato direttamente in Europa per ogni migrante sbarcato in Grecia che la Turchia accetterà di riprendersi, compresi afghani e iracheni. In sostanza è questo il grande scambio che i leader dell’Unione europea tenteranno di concludere con il primo ministro turco, Ahmed Davutoglu, nel loro Vertice di lunedì 7 marzo a Bruxelles. “Per la prima volta dall'inizio della crisi dei migranti, posso vedere emergere un consenso europeo”, ha scritto il presidente del Consiglio europeo, Donald Tusk, nella lettera di invito ai capi di Stato e di governo dei Ventotto. Ma il prezzo del consenso è alto e non si limita a un patto con il presidente turco, Recep Tayyp Erdogan, discutibile sul piano legale e morale oltre che politico. Angela Merkel dovrà accettare la chiusura della rotta dei Balcani occidentali, orchestrata dall'Austria nonostante le critiche della cancelliera tedesca. “Lunedì dovremmo tutti confermare” l'approccio adottato dai paesi dei Balcani nelle ultime settimane per mettere fine alla politica di lasciar passare le ondate migratorie da uno Stato all'altro, ha spiegato Tusk: “Con questo chiuderemo la rotta dei Balcani occidentali, che è stata il principale punto di ingresso per i migranti”. L'Italia dovrà accettare il rischio di diventare vittima della frammentazione delle rotte dei migranti, che potrebbero dirigersi verso l'Adriatico o tornare a battere il Mediterraneo centrale. La Grecia sarà di fatto sacrificata in nome del bene comune europeo, con una crisi umanitaria di proporzioni mai viste in uno stato membro dell'Ue.
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La porta è aperta, ma il caos regna “Resettlement” (reinsediamento) dei rifugiati siriani in Europa in cambio di “readmission” (riammissione) di tutti gli altri migranti in Turchia sono i due principali parametri del gran bargain che si sta ancora negoziando tra Bruxelles e Ankara. “Sarebbe logico un meccanismo automatico con un rapporto 1 a 1 tra i migranti che entrano legalmente nell'Ue e la riduzione del numero di ingressi illegali”, spiega un ambasciatore europeo. “Ma non ci siamo ancora”. La diplomazia dell'Ue si è mobilitata massicciamente negli ultimi giorni. Tusk ha incontrato Davutoglu e Erdogan giovedì e venerdì. Il vicepresidente della Commissione, Frans Timmermans, e il commissario all'Allargamento, Johannes Hahn, hanno visto il ministro dell'Interno turco, Efkan Ala. Anche la Nato, chiamata a una missione di pattugliamento del mar Egeo, si sta muovendo. Il segretario generale, Jens Stoltenberg, riceverà lunedì Davutoglu dopo l'accordo su quello che appare come un inconfessabile mini-blocco navale: il rimpatrio in Turchia di tutti i migranti salvati dalle navi della Nato, anche in caso di intervento nelle acque territoriali greche e turche.
La legalità e la moralità del patto tra Ue e Turchia è messo in dubbio dall'Alto commissariato per i rifugiati dell'Onu e dalle organizzazioni non governative. Il 91 per cento dei migranti arrivati in Grecia nei primi due mesi dell'anno provengono da Siria (48 per cento), Afghanistan (26 per cento) e Iraq (17 per cento): per l'Unhcr, afgani e iracheni non sono classificabili come migranti economici e devono avere il diritto di chiedere asilo nell'Ue se arrivano sul suo territorio. “La verità è che i rifugiati stanno ancora arrivano in Europa perché le guerre nel vicinato dell'Europa non sono ancora risolte”, ha spiegato venerdì il direttore dell'ufficio dell'Unhcr per l'Europa Vincent Cochetel: “So che c'è un tentativo da parte di alcuni leader europei di riqualificare il problema” definendo i rifugiati come migranti economici. Ma “chiamarli migranti irregolari è una scorciatoia”. Le Ong sottolineano che il diritto del mare prevede il trasporto in Grecia dei migranti salvati nelle acque territoriali greche.
In termini politici, Erdogan è considerato un partner inaffidabile e spregiudicato al quale tutto deve essere permesso pur di arginare un'ondata di rifugiati che rischia di travolgere Schengen e alla fine tutta l'Ue. La tensione tra le capitali europee rimane alta. Il cancelliere austriaco, Werner Faymann, è tornato a criticare Merkel chiedendo alla Germania di fissare un tetto agli ingressi “altrimenti i rifugiati continueranno a arrivare”. Di fronte a un'Ue divisa, Erdogan ha gioco facile a imporre alcune delle sue condizioni. Come a novembre, il presidente turco ha approfittato dei negoziati con l'Ue per rafforzare la sua repressione: all'epoca contro i giornalisti e la minoranza curda, oggi contro il principale quotidiano d'opposizione Zaman. Nei colloqui riservati, Erdogan ha più volte minacciato gli europei di aprire il rubinetto dei rifugiati, con due milioni di siriani presenti nel suo territorio e un milione di afgani pronti a attraversare la Turchia per dirigersi verso l'Europa. Nel Vertice con l'Ue, la Turchia vorrebbe strappare un obiettivo numerico per il reinsediamento dei rifugiati siriani. L'Unhcr venerdì ha chiesto un programma che coinvolga 400.000 profughi. Ma la maggior parte degli Stati membri dell'Ue non sono pronti a annunciare pubblicamente l'accoglienza di centinaia di migliaia di persone. Anche il gruppo dei paesi “volenterosi” messo in piedi da Merkel per far partire il programma di reinsediamento – con l'eccezione della Germania – vuole aspettare risultati concreti prima di accettare il gran bargain con Ankara. “I turchi devono dimostrare un bilancio solido, prima che l'Ue possa iniziare il reinsediamento”, dice l'ambasciatore: “Do ut des”
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