Libia, Isis e multinazionali sull'oro di Bengasi
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Nel Sahara orientale un tesoro di gas e petrolio. Dove si concentrano interessi di inglesi, francesi e americani. Le mire del Califfo su terminal e pipeline.
L'assalto dell'Isis al terminal di al Sidra.
di Barbara Ciolli | 09 Gennaio 2016lettera 43
I porti di Ras Lanuf e al Sidra, nella mezzaluna petrolifera del Golfo di Sirte, sono i due terminal che l’Isis tenta di controllare in Libia.
Furono anche i primi a saltare nelle rivolte della Primavera araba. Quelli sui quali multinazionali straniere come Total e Bp, francesi e inglesi, volevano mettere le mani già quando Muammar Gheddafi decise di collaborare contro il terrorismo.
Da lì a Est, alle grandi risorse della Cirenaica (il 70% del totale), in larga parte inestratte, guardavano David Cameron e Nicolas Sarkozy, quando nel 2011 fecero levare i caccia sulla Libia, e pure gli americani, ansiosi della spartizione post Gheddafi.
L'ENI NELL'OVEST. A Ovest, in Tripolitania ci sono gli impianti, gli oleodotti e la pipeline dove l’Eni (soprattutto sulle piattaforme offshore) hanno continuato a lavorare e pompare gas verso la Sicilia, anche durante la guerra civile, nonostante anche il terminal di Mellitah a Sabratha sia, con gli scavi archeologici, nel mirino del Califfato.
L'ORO DI BENGASI. A Oriente c’è l’Eldorado del deserto a Sud di Bengasi, un sottosuolo in parte ancora vergine ma molto ricco di gas naturale e idrocarburi, duramente conteso tra le milizie laiche e islamiste dalla caduta di Gheddafi.
Ambito dalle potenze straniere e - proprio come i pozzi e le raffinerie nel Nord-Est della Siria - saccheggiato da diverse bande di jihadisti, prima di finire assaltato dall’Isis.
La guerra intestina dal 2011 per i terminal di al Sidra e Ras Lanuf
Le mappe dei campi d'estrazione e dei terminale di petrolio e gas in Libia (Eni).
I terminal di Ras Lanuf e al Sidra sono al centro di uno dei contenziosi ai quali cerca di venire a capo il fragile governo di unità nazionale nato alla fine del 2015, dopo oltre un anno di negoziati dell’Onu.
Le cariche e la gestione delle autorità strategiche e strutture portuali è stata (e resta) un sanguinoso casus belli tra i due principali blocchi dei governi uscenti: gli islamisti di Tripoli alleati con Misurata e i laici di Tobruk del generale Khalifa Haftar, che raggruppavano una miriade di milizie, inclusi gruppi jihadisti e bande criminali, e che si riconoscono solo parzialmente nell’intesa bipartisan.
LA LOTTA INTERNA PER AL SIDRA. In primavera fonti militari di Tobruk sostenevano che Ras Lanuf e a al Sidra sarebbero tornati in mano alla Compagnia petrolifera nazionale (Noc), «riaprendo presto».
In realtà i due porti libici per l’export non erano ancora sicuri: le lotte tra milizie in competizione sono rimontate e, occupata Sirte, l’Isis ne ha approfittato inserendosi nella partita. Scacciati da Derna, gli uomini del Califfo che da un anno controllano la città natale di Gheddafi si sono alleati con i consanguinei del Colonnello, che stanno consegnando loro le chiavi terminal.
DA SIRTE, L'AVANZATA DELL'ISIS. Il maxi attentato tra le reclute di Polizia di Zlitan, alle porte di Misurata, è stato preceduto dall’offensiva a Est verso al Sidra e Ras Lanuf, respinta dalle guardie private - ovvero dalle milizie locali - di presidio nelle strutture, ma che ha lasciato a terra una decina di morti e incendiato sette serbatoi di petrolio.
Sidra era stata attaccata dall’Isis anche in autunno ma stavolta più che un attentato è sembrata una prova generale: si combatte sul terreno nel Golfo di Sirte, una colonna di jihadisti del Califfato è avanzata fino a Ben Jawad e punta alla conquista del terminal.
Multinazionali straniere in coda per estrarre gas e petrolio in Cirenaica
A marzo 2011 al Sidra fu tra i primi obiettivi a occupati dagli insorti del Consiglio nazionale di transizione.
Il paesotto di poche migliaia di abitanti ospita il più grande deposito di petrolio della Libia, il porto è attaccato all’aeroporto.
A una ventina di chilometri ci sono le raffinerie di Ras Lanuf, una cittadina poco più grande ma con un ampio complesso petrolchimico e diversi oleodotti. È ancora Tripolitania, ma a pochi chilometri inizia la Cirenaica, la terra che per prima si ribellò al rais.
Il petrolio lavorato ed esportato sulla costa proviene dall’entroterra di Bengasi, non a caso il terminal di al Sidra è già controllato da una milizia tribale di insorti della Cirenaica, scissionista da Tripoli, che dal 2012 tenta di rivendere in proprio senza l’autorizzazione dell’Nco, infine alleata con Tobruk.
IL TESORO DELLA CIRENAICA. Nella regione, l’Eni ha chiuso dal 2013 i campi di Abu Attifel, nel Sahara orientale dove negli Anni 60 l’Agip iniziò a estrarre con le prime concessioni, e continua invece a lavorare a Ovest, attraverso Mellitah e il Greenstream. Ma la Cirenaica resta lo scrigno con potenzialmente più oro nero da estrarre e Ben Jawad assediata dall’Isis è considerata la porta d’accesso al petrolio dell’Est, verso Brega e Bengasi.
Lì, prima della guerra, si concentravano i nuovi contratti d’esplorazione delle compagnie petrolifere emergenti nel mercato libico, concorrenti all’Eni: Total, Bp, l’anglo-olandese Shell, anche le statunitensi Exxon e Chevron.
I COMPETITOR DELL'ENI. Lì vengono adesso segnalate le unità speciali inglesi e francesi - le italiane tra Tripoli, Sabratha e Zuara - e nella zona gli americani, vittima dell’assalto dei jiahdisti al Consolato, hanno lanciato anche due operazioni delle loro forze speciali.
Anche l’Isis vuole controllare gli asset energetici, per il think-tank britannico Country Risk Analyst (Ihs) è già «espanso nella mezzaluna petrolifera».
Da un rapporto Onu dell’autunno 2015, il Califfato avrebbe tra i 2 mila e i 3 mila unità in Libia, ancora poche per «gestire campi e raffinerie». Ma per il Centro libico di studi sul terrorismo sarebbero già 10 mila i combattenti dell’Isis in Libia, la maggior parte stranieri.
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