Il sangue di Israele non fa notizia
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Attacchi terroristici ogni giorno nello stato ebraico. Perché nessuno ne parla?
di Redazione | 08 Ottobre 2015 ore 17:10 Foglio
Chi ricorda le 81 sparatorie, i 5 attacchi con granate, i 651 attacchi con Molotov e le 173 aggressioni con coltelli, mazze e asce contro i civili israeliani e i soldati durante i primi due anni dell’Intifada nel 1987? Nessuno, ma tutti ricordano il ragazzino palestinese che lancia sassi contro un carro armato israeliano. Adesso siamo in mezzo alla Terza Intifada e il sangue degli israeliani non brilla. I media derubricano il terrorismo contro Israele a disordini, tafferugli, riots, indicando nella causa “l’occupazione”.
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La Bbc ha titolato così dopo l’assassinio dei due israeliani in città vecchia: "Un palestinese ucciso dopo che un attacco a Gerusalemme uccide due persone". E’ la disinformazione che si mangia la verità delle cose, la causa e l’effetto, l’aggressore e la vittima, l’arabo e l’ebreo, in una sorta di orrenda equivalenza morale e storica. Nel 2000 fu Yasser Arafat che tornò vittorioso da Camp David per aver rifiutato la più grande offerta territoriale di Israele; oggi è Abu Mazen che torna da New York annunciando la morte degli accordi di Oslo e la violazione della moschea di al Aqsa.
I palestinesi sono vittime di una sorta di ipnosi: distruggere Israele, costi quel che costi, anche a costo del deterioramento delle loro vite. Soltanto così si spiega la storia di una ragazza palestinese di buona famiglia che ieri mattina è uscita di casa e anziché andare a scuola ha deciso di andare ad accoltellare due passanti israeliani. E’ la storia del Pifferaio di Hamelin: inizia a suonare e i ratti, incantati dalla sua musica, si mettono a seguirlo, lasciandosi condurre fino al fiume, dove annegano. Israele ne uscirà vittorioso, come fa da settant’anni. I palestinesi no.
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