Dieselgate: i dubbi sugli altri marchi oltre Volkswagen
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Non soltanto la Vw. Accessori spenti, ruote iper gonfiate e lubrificanti speciali. Per tagliare le emissioni fino al 50%. Legambiente: «Ora un ente di controllo Ue». I trucchi
di Matteo Forlì | 23 Settembre 2015 Lettera 43
Dubbi che si allargano a macchia d'olio. I trucchi
Se lo scandalo Dieselgate ha mortalmente inquinato l'immagine e il portafoglio di Volkswagen, la denuncia dell'Epa (Environmental Protection Agency, cioè l'ente preposto alla tutela ambientale americana) ha già allungato i suoi effetti oltre i confini degli Usa.
I principali 'trucchi' messi in atto dalle case automobilistiche per manipolare i test sulle emissioni di CO2 elaborata dall'ong Transport & Environment
TANTI TEST IN DUBBIO. Ora anche l'Europa (dalla Francia alla stessa Germania, dove Angela Merkel ha invocato «trasparenza») vuole diradare i dubbi su controlli e livelli di emissioni nocive.
E sul banco degli imputati potrebbero non finire solo i modelli prodotti del colosso di Wolfsburg.
Perché se la mamma della Golf ha la coscienza sporca (e ha ammesso: i veicoli fuori norma sono circa 11 milioni) anche le marmitte degli altri marchi potrebbero non essere immacolate.
Il nodo gordiano è l'inadeguatezza dei sistemi di controllo.
Tra i metodi e i livelli di indagine di Usa e Vecchio Continente la distanza è abissale.
L'Epa è un'agenzia federale indipendente che fa controlli in proprio, mentre in Europa le case automobilistiche pagano per farsi certificare e la maggior parte delle volte le misurazioni avvengono nei propri stabilimenti.
Per quantificare consumi ed emissioni si utilizza ancora il caro e vecchio Nedc, un sistema nato nel 1970 e aggiornato 25 anni fa.
GLI ACCESSORI? TUTTI SPENTI. Il test non viene effettuato all'aperto, ma in laboratorio e con tutti i dispositivi accessori, come il condizionatore, le luci, il navigatore o il lunotto termico, rigorosamente spenti.
Su un banco a rulli viene simulata la resistenza dell'aria e l’auto a freddo esegue alcune sequenze di accelerazioni, marcia a velocità costante e frenate.
Il tutto simulando un percorso perfettamente in piano e in completa assenza di vento.
CONFLITTO DI INTERESSI. Basterebbe la fredda descrizione per rendere il test ritenerlo poco credibile.
Se poi si considera che queste misurazioni vengono fatte nei laboratori delle case automobilistiche e da aziende specializzate che mandano le loro fatture ai costruttori, si capisce che il sistema fa acqua - o meglio monossido di carbonio - da tutte le parti.
«PROBLEMA NOTO DA TEMPO». «Negli anni diversi studi hanno contestato la validità del protocollo di controllo delle emissioni. È un problema noto da tempo», sottolinea il responsabile dell'ufficio scientifico di Legambiente Giorgio Zampetti.
«E ora si stanno aprendo delle inchieste per verificare se ci siano state della manipolazioni dei dati da parte delle aziende produttrici, come nel caso di Volkswagen».
Dagli pneumatici supergonfi ai lubrificanti speciali: le furbate
Sì perché alle lacune sul monitoraggio si sommano pure le 'furbate'.
E quella usata da Volkswagen - del software che riconosce il test e si adegua per limitare i valori - è solo una delle ingegnose operazioni per ottenere il 'voto' desiderato.
Si va dalle ruote supergonfiate che riducono la resistenza al rotolamento e i consumi, all'uso di lubrificanti speciali fino alla pratica di sigillare con nastro le fessure per migliorare l'aerodinamicità del veicolo.
REALI CONSUMI FINO AL 50%. L'Organizzazione non governativa (Ong) ambientalista Transport & Environment ha pubblicato nel 2014 uno studio in cui sostiene che i reali consumi di carburante delle automobili europee, e di conseguenza le loro emissioni di CO2, sono in media superiori del 23% a quelli dichiarati dalle case produttrici e in alcuni casi anche del 50% (clicca per leggere il documento in inglese).
Le mancanze del metodo di indagine standardizzato dall'Ue e applicato a 50 Paesi, sottolinea ancora l'Ong con sede a Bruxelles, permettono troppe licenze ai costruttori.
Nel test per esempio non si misura l'energia consumata da accessori come l'aria condizionata o i sedili riscaldati.
Addirittura si quantificano i consumi con l'alternatore staccato in modo che non bruci energia per ricaricare la batteria; si modificano i freni in modo che facciano meno resistenza e si programmano le centraline in modo che ottimizzino l'efficienza proprio per il ciclo di monitoraggio.
TUTTI I MARCHI «BARANO». Chi più chi meno, tutte le aziende produttrici di automobili dichiarano consumi ed emissioni inferiori a quelle reali.
Mettendo a confronto i dati dichiarati dalla case con un ampio set di rilevazioni nella vita reale elaborato da compagnie di leasing, riviste specializzate e associazioni dei consumatori un altro report, elaborato dall'International Council on Clean Transportation nel maggio 2013 (il documento), mostra evidenti discrepanze nei dati resi noti e quelli effettivi: Bmw-Audi pubblicizza valori in media del 30% inferiori al reale, Mercedes del 26%, Fiat del 24%, Peugeot-Citroen del 16%, Toyota del 15%.
E negli anni il vizietto si è aggravato: nel 2001 lo scostamento medio era del 10%, nel 2011 è diventato del 25%.
SERVE UN ENTE DI CONTROLLO. «Che siano manipolate o derivanti da controlli inadeguati le discrepanze dei valori reali di emissioni con quelli dichiarati sono destinati ad avere ripercussioni importanti sul settore dal punto di vista economico ma soprattutto aprono scenari rilevanti sull'ambiente e sulla salute umana», sottolinea ancora Zampetti di Legambiente.
«Lo Iarc (la International agency for research on cancer, l'agenzia dell'Oms che si occupa di ricerca sui tumori, ndr) ha certificato in particolare che i gas di scarico dei motori diesel sono cancerogeni», ha ricordato l'esperto.
«È evidente che dati certificati e sottostimati sulle emissioni aprono uno scenario preoccupante. E rendono la costituzione di un soggetto terzo e indipendente di indagine, come lo è l'Epa negli Usa, una necessità inderogabile».
IN UE LIMITI PIÙ SEVERI CHE IN USA. A legittimare i sospetti sulle rilevazioni si aggiunge il fatto che in Europa i limiti imposti sulle emissioni sono teoricamente assai più rigidi di quelle degli Usa (è previsto che costruttori di auto entro il 2015 abbiano una gamma con una media di 130 gamma di CO2 per chilometro e nel 2021 questo valore deve scendere a 95). Un motivo per credere che lo scandalo sia globale.
«Ogni grammo in meno nella media di CO2 emessa dalla gamma Volkswagen costa al gruppo 100 milioni di euro in ricerca e sviluppo», aveva dichiarato nel 2014 l'amministratore delegato del gruppo tedesco, Martin Winterkorn.
Una frase che riletta dopo la bufera assume un significato grottesco.
«Volkswagen responsabile di 1 milione di tonnellate di ossidi di azoto l'anno»
Secondo l'allarmante stima fatta dal quotidiano britannico Guardian, l'aver truccato i test su 11 milioni di veicoli rende la sola Volkswagen responsabile di circa 1 milione di tonnellate di ossidi di azoto all'anno.
E l'impatto delle emissioni, ha sottolineato il giornale, potrebbe essere molto più elevato in Europa, dove quasi la metà delle auto sono diesel rispetto al misero 3% degli Usa.
CODACONS VUOLE AGIRE. Il Codacons, già intenta a raccogliere migliaia di adesioni alla class action contro il colosso tedesco da avviare negli Usa, sta vagliando la possibilità di ulteriori azioni legali da intraprendere in Italia a tutela degli automobilisti proprietari di vetture a marchio VW.
Lo comunica l'associazione dei consumatori.
CHIESTO UN CERTIFICATO. «In questa situazione di incertezza riteniamo indispensabile appurare il rispetto delle norme sulle emissioni sia per le autovetture Volkswagen attualmente in vendita, sia per i modelli già circolanti nel nostro Paese, attraverso un apposito certificato rilasciato dal ministero dei Trasporti di concerto con quello dello Sviluppo economico».
E se dovessero emergere irregolarità anche per le automobili vendute in Italia, ha rincarato l'ente di tutela, sarebbe inevitabile una richiesta di ritiro delle vetture commercializzate nel nostro Paese da parte dell'associazione, con conseguente azione risarcitoria in difesa degli automobilisti.
«CON EURO 6 BASTA TEST IN LABORATORIO». Pur non volendo entrare nel merito della bufera che ha investito Volkswagen, l'Acea (l'associazione dei costruttori di automobili europei) ha voluto ricordare che con la nuova normativa Euro 6 «presto si richiederà per la prima volta in Ue che i test delle emissioni non vengano fatti in laboratorio, ma in tutte le condizioni di guida».
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