Dalla Grecia ai rifugiati. Perché quella di Merkel non è una conversione
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Paragonare il caso greco con quello siriano è un errore. La cancelliera però ha usato lo stesso principio, si è comportata da navigata statista
di Franco Debenedetti | 07 Settembre 2015 ore 17:18 Foglio
Perché mai la posizione di Angela Merkel sulla Siria dovrebbe essere una “conversione” rispetto quella che aveva avuto sulla Grecia, metafora di un cambio sia di rotta su una “strada lastricata di buone intenzioni” sia, Dio ne scampi, di confessione religiosa, proprio non lo capisco. Se a dirlo sono quelli che, se neghi gli eurobond sei un sadico strangolatore dell’Europa del Sud, e se hai il bilancio in pareggio hai tendenze naziste, non ci sarebbe da spenderci tempo: ma nell’articolo di Giuliano Ferrara quella parolina mi ha colpito. Che sia per contrasto con la soddisfazione di vedere (ancora una volta) tanto autorevolmente espressa la necessità di intervenire là dove divampano gli incendi che fanno fuggire la gente, come avevo azzardato sul Foglio fin dall’inizio di Maggio? Neppure a Franco Venturini possono essere attribuiti pregiudiziali antitedesche, ma è esplicito: “Berlino", scrive, sul Corriere di venerdì, "riconquista la sua credibilità morale messa a dura prova dalla linea intransigente nei confronti del dramma socio-finanziario greco”.
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Ipotizzare una sorta di compensazione significa mettere sullo stesso piano due vicende, la Siria e la Grecia: e questo falsa la comprensione di entrambe le posizioni che la Germania ha preso nei due casi, e financo il giudizio su Angela Merkel. La Cancelliera avrebbe “fatto quel passo, breve ma decisivo, che distingue i politici dagli statisti”. Al contrario, sarebbe non da statista bensì da politico (e anche un po’ cinico) approfittare della vicenda dei rifugiati per cercare una compensazione che ripari alla (pretesa) incrinatura alla propria immagine.
Tutta politica è stata la vicenda greca: abbiamo già dimenticato il ricatto, scritto nero su bianco ne “Il crogiolo della resistenza” da Tsakalotos sodale di Tsipras e Vanoufakis, con cui i due progettavano di obbligare l’eurozona tutta, non la sola Germania, ad accettare condizioni finanziarie impossibili e programmi di governo disastrosi? Abbiamo dimenticato le vicende che hanno portato al referendum e alla crisi di governo? Aver promosso questa “conversione” (in senso geometrico non etico) è stato un bene o un male per la Grecia? E’ stato un bene o un male per i risparmiatori che, in ultima analisi, sono i creditori del debito greco?
E quanto alla Merkel, non è stato banale convincere il Bundestag ad approvare il terzo piano di salvataggio, pagando il prezzo del dissenso all’interno del proprio partito.
In entrambe le vicende sono in gioco principi giuridici e storia nazionale. Nel caso greco, il principio che l’Europa si basa sui trattati, e che i trattati si rispettano. Nel caso dei rifugiati il principio, di ordine superiore, del diritto all’asilo. Non c’è contraddizione, e quindi non c’è compensazione, tra di essi. Semmai il primo, che ha le sue radici nell’ordoliberismo, nell’idea che i conti in ordine sono la base della stabilità e della crescita economica, è quello che garantisce le condizioni materiali per dare pratica attuazione al secondo. I tedeschi sanno cosa vuol dire morire su un muro cercando la libertà: ma sanno anche cosa vogliono dire, e dove possono portare, una moneta che perde il suo valore e gli operai che perdono il proprio lavoro. In Grecia un governo che solo all’ultima ora ha evitato di portare il proprio paese alla rovina, in Siria un governo che lo sta facendo da anni. Dalla Siria persone che chiedono lavoro e vogliono contribuire al benessere del Paese che li ospiterà, in Grecia un governo che vuole essere sussidiato perché una certa parte dei propri cittadini possa non lavorare.
I tedeschi sanno quanto gli stranieri, gli italiani prima, i turchi poi, abbiano contribuito alla crescita del Paese. Quelli che arrivano dalla Siria sono sicuramente tra i più determinati, probabilmente i più intraprendenti, della popolazione: accoglierne 800.000 è anche una scommessa sul contributo che essi possono dare a un Paese con un grosso problema demografico. Questo non sminuisce il valore della scelta compiuta dalla Merkel, tutto il contrario: è proprio dello statista trovare una base logica a quello che è giusto.
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