Via i crociati. La Svezia scopre in casa le guerre di religione tra profughi
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Il vicedirettore dell'Ufficio migrazioni: "Non possiamo dividere i rifugiati secondo il credo religioso".
di Matteo Matzuzzi | 31 Luglio 2015 ore 06:24
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Roma. Vietato esibire la croce al collo, in catenine, ciondoli o pendagli più o meno lunghi. Vietato entrare nelle stanze adibite alla preghiera verso la Mecca. Vietato mettersi a sedere nelle aree comuni quando queste sono occupate dai fedeli all’islam. Non è un decalogo partorito dalle menti dei jihadisti impegnati nell’edificazione del Califfato nero né una lista di proibizioni che si potrebbe leggere su qualche muro di Mosul o d’ogni altro villaggio o cittadina della piana di Ninive caduta nelle mani di Abu Bakr al Baghdadi. Le direttive arrivano da Monsteras, ridente località svedese sul Mar Baltico che parrebbe uscita dalla fantasia del giovane romanziere Joël Dicker: seimila anime in tutto, pescherecci, biciclette e belle foreste, nient’altro da segnalare. E’ qui che, qualche giorno fa, è avvenuto il tutto, nel centro di prima accoglienza per i profughi siriani richiedenti asilo. Un gruppo di famiglie cristiane è stato costretto a sloggiare dall’edificio perché minacciato dai connazionali musulmani, pure loro profughi scappati dal caos del vicino oriente e pure loro in attesa del disbrigo delle pratiche burocratiche. Non da tutti i musulmani ospiti della casa, chiariscono subito le imbarazzate autorità locali: “Solo un gruppetto ha creato problemi”.
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A ogni modo, “l’atmosfera era diventata troppo intimidatoria per i cristiani, che non hanno trovato nessuno che li aiutasse. Così se ne sono andati”, ha spiegato il vicedirettore dell’Ufficio migrazioni di Kalmar, Mikael Lonnegren. Altre strutture non erano disponibili e a quel punto i profughi non musulmani si sono cercati “da soli un’altra sistemazione”. La polizia non è intervenuta né lo farà, visto che i cristiani “se ne sono andati volontariamente”. La situazione, a ogni modo, “non può essere sottovalutata e i fatti accaduti sono gravi”, si fa sapere ancora dall’organismo governativo. “Non possiamo dividere i rifugiati secondo il credo religioso”, ha chiarito Lonnegren, quasi a presagire che l’incidente di Monsteras sia solo l’anteprima di quel che potrebbe accadere una volta che i richiedenti asilo dal vicino oriente che sbarcano sulle coste dell’Europa meridionale busseranno alle porte della Svezia, non a caso indicata come la meta prediletta e finale dalla gran maggioranza dei migranti.
E’ l’ennesimo campanello d’allarme che suona nella patria che per decenni ha coltivato il sogno di raggiungere l’utopia irenista alimentando la chimera del multiculturalismo, arrivando anche a censurare “Pippi Calzelunghe” perché nell’adattamento televisivo del libro di Astrid Lindgren vi erano “frasi offensive” che avrebbero potuto creare turbamento “ai bambini di etnia differente”. A Stoccolma non pensavano di dover assistere alle risse interconfessionali tra profughi: erano convinti che cose del genere si potessero vedere solo al largo di Lampedusa, tra la Libia e l’Italia, dove qualche mese fa dodici migranti cristiani erano stati gettati in mare dai compagni di traversata musulmani: “Sono stati buttati in mare dagli altri perché cristiani”, aveva detto il Papa nell’omelia a Santa Marta del 21 aprile, dedicata ai nuovi martiri nel mondo. Le autorità svedesi fanno sapere che “chi fugge per ottenere rifugio nel nostro paese deve seguire le nostre leggi, una volta che si trova qui”, tentando così di puntellare un castello di carte che sembra crollare. L’immigrazione massiccia – 100 mila immigrati arrivati solo nel 2014, con i record che vengono puntualmente abbattuti anno dopo anno – ha anche mitigato il consenso un tempo forte della popolazione circa il modo del governo di gestire la questione. Basti ricordare quanto avvenuto tra il 31 dicembre e il 1° gennaio scorsi a Uppsala: una bomba molotov fu gettata contro il muro della moschea, sul quale poco prima era stato impresso un messaggio che non necessita d’interpretazioni. “Go home, muslim shit”.