Il disastro del “Bella Tsì”. Così il rivoluzionario premier greco rischia di diventare Alexis Troika
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Alexis Tsipras ha cercato di riavvolgere la storia della Grecia di quindici giorni, rimangiandosi il “Grande no” del premier greco e l’Oxi nel referendum di domenica all’offerta dei creditori internazionali di fine giugno.
di David Carretta | 10 Luglio 2015 ore 18:09 Foglio
Bruxelles. Alexis Tsipras ha cercato di riavvolgere la storia della Grecia di quindici giorni, rimangiandosi il “Grande no” del premier greco e l’Oxi nel referendum di domenica all’offerta dei creditori internazionali di fine giugno. Il pacchetto da 12 miliardi di euro presentato giovedì notte per disinnescare la Grexit è conforme a quanto chiedevano i partner europei il 26 giugno per prolungare il vecchio programma di aiuti di 5 mesi con 15,5 miliardi a disposizione di Atene. Alcune capitali, come Parigi e Roma, sperano che basti a convincere l’Eurogruppo a siglare un accordo oggi. Altre, come Berlino e Helsinki, sono più prudenti di fronte a numeri che non tornano: 12 miliardi di austerità in tre anni non basteranno per avere un avanzo primario dell’1 per cento quest’anno, del 2 per cento il prossimo e del 3 per cento in quello successivo; il costo del salvataggio (53 miliardi, secondo i greci) potrebbe lievitare, perché Tsipras ha dimenticato di includere l’inevitabile ricapitalizzazione delle banche. Eppure – aveva giurato il rivoluzionario di Syriza – non sarebbe dovuta andata così.
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Sostenuto dagli economisti e opinionisti del “Bella Tsì”, l’avvento di Tsipras avrebbe dovuto d’un tratto cancellare la Troika, i memorandum, il debito e l’austerità, aprendo le porte di un futuro economico e sociale radioso. “La Troika e il Memorandum sono storia del passato”, diceva Tsipras il 27 febbraio durante una riunione del governo trasmessa a reti unificate, salutando il primo accordo all’Eurogruppo per estendere al 30 giugno il vecchio programma di aiuti. Culo per terra e cappello in mano (per le banche chiuse e la prospettiva di “un’implosione del paese”, come ha lui stesso riconosciuto ieri davanti ai parlamentari di Syriza), oggi Tsipras è costretto a fare il contrario. Ma il costo della rivoluzione “Bella Tsì” è già altissimo: una probabile recessione del 4 per cento, con conseguenze a cascata su ritorno della disoccupazione, azzeramento dell’avanzo primario e aumento del debito.
Cinque mesi fa, Tsipras spiegava che non ci sarebbe stato mai “un terzo memorandum”, perché i “memoranda erano finiti il 25 gennaio”, la sera della sua elezione. Minacciando il contagio della Grexit, il primo ministro sarebbe arrivato a “un accordo che renderà i nostri impegni finanziari socialmente sostenibili e ci permetterà di tornare a crescere”. Secondo Tsipras, c’era “panico” nelle “cerchie politiche” ateniesi e bruxellesi “che sostengono i memoranda”, perché lui e il suo governo avevano “dimostrato che l’austerità non è la sola opzione per la Grecia e l’Europa”. Grazie a lui esisteva “una politica alternativa” ed è “un tremendo successo per il popolo e una disfatta per le élite politiche e le oligarchie”, diceva trionfante Tsipras, tra gli applausi di Paul Krugman, Marine Le Pen e Stefano Fassina.
In realtà, i creditori hanno saputo aspettare. Il 30 giugno la Grecia ha fatto default. I mercati se ne sono infischiati. E’ stato Tsipras a cedere al panico di fronte alle file ai bancomat, scegliendo di prescrivere una cura di austerità più dura degli 8 miliardi di tagli e tasse a cui i greci hanno detto “Oxi” nel referendum. La sua richiesta di un terzo programma di assistenza finanziaria significa che ci sarà un nuovo Memorandum of Undestanding, condizione imprescindibile per gli aiuti. La Troika è viva e lotta al fianco dei creditori, preparandosi a rimettere sotto tutela il governo greco per altri tre anni.
Il dramma della rivoluzione “Bella Tsì” è che, se Tsipras avesse accettato a febbraio meno austerità di quella a cui è costretto oggi, ora “la Grecia si troverebbe nella posizione di Irlanda e Portogallo”, confida al Foglio un alto responsabile europeo. L’economia crescerebbe del 2,5 per cento, la disoccupazione sarebbe in calo, le file si vedrebbero solo sui moli di imbarco dei turisti al Pireo. Con gli aiuti del vecchio programma, la Grecia “avrebbe potuto rimborsare Bce e Fmi”. Non solo: Tsipras avrebbe potuto “lanciare un programma di riacquisto del debito molto oneroso in termini di interessi nei confronti del Fmi, abbassando il costo complessivo del debito greco”. In questo momento, invece che di Grexit, i partner europei discuterebbero di uno sconto sul valore nominale del debito, “dando seguito alla promessa del 2012 di ridurre tassi di interesse e prolungare le scadenze”, dice il responsabile. L’impegno, in caso di accordo, verrà ribadito per ottobre: serve a Tsipras per salvare la faccia e agli europei per salvare i greci da Tsipras. Ma del resto – ricorda il responsabile – lo sconto sul debito “era sul tavolo anche a febbraio”.
David Carretta
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