Tsipras ha sinora giocato con il suo paese come se la Grecia fosse un pallone di cenci
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In soli sei mesi di governo, Alexis Tsipras ha provocato un grande numero di testacoda a danno del suo paese, la Grecia, comportandosi come un dilettante allo sbaraglio
di Pierluigi Magnaschi Italia Oggi 10.7.2015
In soli sei mesi di governo, Alexis Tsipras ha provocato un grande numero di testacoda a danno del suo paese, la Grecia, comportandosi come un dilettante allo sbaraglio. Una cosa sola, aveva certa in testa: non restituire i debiti contratti. Né voleva proseguire nel percorso di risanamento del paese già iniziato da Samaras e in atto in tutti gli altri i paesi dell'Eurozona mediterranea (Italia, Spagna e Portogallo). Non a caso, con l'ultimo referendum, Tsipras aveva platealmente chiesto al popolo greco di fargli sapere, con il voto, se preferiva che i debiti della Grecia, anziché da loro, fossero pagati dagli altri. E la risposta è stata plebiscitaria (paghino gli altri!). Non solo i debiti già contratti ma anche quelli, è parso di capire, che, dopo il default, la Grecia avrebbe la necessità di contrarre ugualmente, per poter andare avanti.
Nessuno in Grecia (ma pochi anche altrove), di fronte all'elettrizzante «to megali Ochi» (il grande No), si è mai chiesto a che tasso di interesse e a quali stringenti condizioni, i futuri creditori (se se ne troveranno) saranno disposti a erogare i loro finanziamenti di cui la Grecia, questo è il punto, non può fare a meno per potere andare avanti. L'azione politica del governo Tsipras e l'esibita finalità del referendum erano quelle di restituire (a parole), alla Grecia, il diritto di decidere il suo futuro, evitando di «scivolare verso la dittatura dei creditori» come ha detto il premier greco davanti all'Europarlamento, mercoledì scorso.
Ma se la Grecia non si atterrà alle nuove regole che essa dovrà sottoscrivere per ottenere nuovi crediti, dopo il default, i nuovi creditori (per evitare di fare la fine dei precedenti) imporranno ipoteche inaggirabili nelle loro conseguenze e largamente garantite, su tutti i beni dello Stato greco che si prestano a supportarle. Queste ipoteche infatti sono necessarie ad assicurare la restituzione dei crediti e dei relativi (alti) interessi. In caso di inadempienza, tali beni precauzionalmente ipotecati sulla base di valori lautamente scontati saranno pertanto acquisiti dai creditori, allo stesso modo con cui le banche, alle quali un cliente non si paga il mutuo acceso sulla casa, mettono quest'ultima in vendita all'asta.
Sul piano delle relazioni internazionali, Tsipras ha fatto balenare, davanti agli occhi stralunati di Obama (che ci ha creduto come un naïf di paese), la possibilità di uscire dall'orbita dell'Occidente per legarsi alla Cina e alla Russia. Ma la prima decisione di Tsipras, per marcare inequivocabilmente l'indipendenza della Grecia contro lo strapotere degli stranieri, è stato quello di annunciare la ri-nazionalizzazione del Porto del Pireo che, per far cassa, il precedente governo ateniese aveva venduto ai cinesi, i quali, nella prospettiva di farci una testa di ponte verso l'Europa per le loro colossali navi portacontainer, ci avevano già investito un sacco di soldi a beneficio, tra l'altro, anche dell'economia greca.
I cinesi, appreso l'intendimento fracassone di Tsipras, debbono avergli sussurrato qualcosa nell'orecchio per cui, dopo un paio di giorni, con un altro pirotecnico testacoda, fatto senza alcun pudore e dignità, Tsipras ha detto che il porto del Pireo, sorry, in nome, è ovvio, dell'assoluta e immarcescibile autonomia del popolo greco, restava nelle mani nelle quali esso era finito, cioè in quelle dei cinesi. I quali, nella settimana che ha preceduto il referendum, non hanno esitato a far sapere (e solo ItaliaOggi, nel nostro Paese, lo ha pubblicato) che, per loro, il Porto del Pireo era solo una testa di ponte per l'Europa per cui se la Grecia fosse uscita dall'Europa ne veniva meno la motivazione.
Visto che Pechino non è meno arrogante di Bruxelles nel difendere i suoi interessi, Tsipras è allora volato a San Pietroburgo per incontrare Vladimir Putin (mentre Obama, dalla paura, che non si sa da dove gli venga, vomitava nel wc personale nella Casa Bianca). Tsipras ha giocato risolutamente questa carta che è basata sul fatto di essere comunista (senza però tener conto che Putin non lo è più) e sul fatto che i due paesi appartengono all'area della religione ortodossa (che Putin usa ma non professa). Come anche la massaia cinquantenne di Voghera sa (ma Obama evidentemente no), Putin, dopo la crisi del petrolio e la necessità di aumentare le spese militari (con il pil russo che, espresso in dollari, è di poco superiore a quello italiano), non ha, non dico un euro, ma nemmeno un rublo da regalare agli amici (o a quelli che si ritengono tali), Tsipras è quindi tornato dall'incontro con il nuovo zar con le pive nel sacco. Si è infatti dovuto accontentare di qualche pacca sulle spalle e di qualche sorriso raggelante (gli unici, peraltro, che sa fare Putin, persino quando incontra Berlusconi, truccato da Babbo Natale).
Un altro testacoda da politico dilettante e sprovveduto (Tsipras deve aver sinora fatto la politica giocando con il Monopoli) il premier greco lo ha fatto con Obama direttamente, subito dopo l'esito del referendum con il quale la Grecia, su sua istigazione, ha mandato l'Europa in quel posto che non può essere citato nell'articolo di fondo di un giornale anche se ha comunque a che fare con un fondo. Tsipras, in questa occasione, ha chiesto a Obama di intervenire pubblicamente e ufficialmente perché la Ue conceda alla Grecia altri crediti senza condizioni. E il giuggerellone della Casa Bianca (non meno sprovveduto di Tsipras) è intervenuto subito sul vertice europeo per spingerlo a scucire gli euro necessari senza tenere conto che la risposta non poteva che essere una: se sei così interessato a tenere a galla la Grecia, dagli tu i fondi di cui essi hanno bisogno. Tieni presente che essi non si formalizzano, sono dei tipi internazionali, alla Varoufakis: accettano anche i dollari.
L'ultimo testacoda (ignobile per i suoi concittadini) è stato fatto da Tsipras mercoledì scorso quando ha inviato all'Eurogruppo la richiesta di un terzo piano di aiuti da parte del Meccanismo europeo di stabilità (Ems), il fondo salvataggi guidato dal tedesco Klaus Regling, al quale, da gennaio, e poi con il referendum, Tsipras aveva sempre definito come «inaccettabile» e Varoufakis, che non ha i freni, aveva detto che era gestito da «terroristi». Tsipras quindi, che ha chiesto al popolo greco, con il referendum, un mandato preciso al quale attenersi nel rispetto della volontà popolare, avutolo, e con percentuali bulgare, se ne è fatto un baffo. Come definire un tipo così?
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Pierluigi Magnaschi