Rimozioni Siria e Georgia, ecco i frutti della via diplomatica con Putin
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A dispetto della propaganda sulle guerre dei democratici, oggi paghiamo il conto, semmai, dei mancati interventi di Barack Obama,
Francesco Cundari 2 Dicembre 2024. Linkiesta.it lettura3’
scrive Francesco Cundari nella newsletter “La Linea”. Arriva tutte le mattine dal lunedì al venerdì più o meno alle sette
Non è rassicurante il futuro che ci promette questo lungo interludio tra la vittoria elettorale di Donald Trump e il suo insediamento, tra un annuncio e l’altro sulla composizione della prossima amministrazione, una galleria degli orrori in cui è arduo separare il puramente grottesco dall’apertamente eversivo, mentre cominciano a delinearsi gli effetti a catena che il suo imminente ritorno alla Casa Bianca ha già innescato nel mondo, e in particolare sui principali teatri di guerra, dal Medio Oriente all’Ucraina. A questi cupi segnali se ne aggiungono ora due ancora più significativi: il riaprirsi della sanguinosissima guerra civile siriana, ammesso che la si potesse mai considerare chiusa, e la crisi democratica in Georgia. Due esempi luminosi dei risultati conseguiti dall’approccio diplomatico scelto dall’occidente, e in particolare dagli Stati Uniti di Barack Obama, nei confronti di Vladimir Putin. L’esatto contrario della narrazione, capace purtroppo di attecchire ovunque, come una pianta infestante, sulle «guerre dei democratici». Del resto, basta vedere chi sono i suoi primi propalatori: quegli stessi gruppi di estrema destra che ai tempi del Covid gridavano alla «dittatura» sanitaria. Voglio dire, si è mai visto prima – prima di questi tempi impazziti in cui ciascuno dice solo, per l’appunto, l’esatto contrario di quel che pensa – un neofascista contrario alle guerre e alle dittature?
La guerra in Georgia è stata una piccola Ucraina prima dell’Ucraina, combattuta sulla base degli stessi pretesti e con lo stesso massiccio utilizzo di propaganda e disinformazione, specialmente a uso dell’occidente: la minoranza separatista aizzata da Mosca presentata come vittima delle crudeli persecuzioni del governo democratico, i poveri russi praticamente costretti a invadere l’intero paese per portare il loro aiuto fraterno agli oppressi. E infatti, come segnala nel suo articolo Sara Gianrossi, dinanzi alle proteste di piazza contro i brogli elettorali e il tentativo di interrompere il percorso della Georgia verso l’adesione all’Unione europea, Dmitry Medvedev, l’ex presidente ed eterno pupazzo di Putin, ha usato parole inequivocabili: «I nostri vicini si stanno muovendo rapidamente sul corso ucraino, in un buio abisso. Di solito, finisce male».
Mi pare dunque opportuno ricordare che appena un anno dopo l’invasione russa della Georgia, Obama, tra vari passi falsi su cui non voglio infierire (tipo l’incredibile episodio del pulsante), inaugurava l’offensiva diplomatica del cosiddetto «reset» nei rapporti con Mosca. Si è visto con quali risultati. Ma ancora più illuminante è quanto accadde negli anni successivi in Siria, quando il regime di Bashar al Assad, al culmine di varie altre atrocità, ricordate puntualmente nel suo articolo da Gianni Vernetti, arrivò a usare il gas Sarin contro interi quartieri della sua stessa capitale, violando platealmente la «linea rossa» contro l’uso di armi chimiche fissata da Obama. E per diversi giorni, infatti, sembrò che l’intervento americano fosse davvero imminente. Ricordo che la mia bacheca facebook traboccava di appelli alla pace di ogni genere, dal Papa a Putin, rilanciati da quegli stessi pacifisti che fino al giorno prima postavano ogni giorno foto strazianti dei bambini siriani vittime di Assad, accusando gli americani di non muovere un dito e di fare la guerra solo dove avevano oscuri interessi da difendere. Come avrebbero ricominciato a gridare, ovviamente, dal giorno dopo la definitiva rinuncia americana all’intervento.
Certo è che la dimostrazione di debolezza data da Obama avrebbe spalancato definitivamente le porte alla Russia, con conseguenze che sono ancora sotto i nostri occhi. In Siria, infatti, Putin avrebbe potuto testare militarmente e soprattutto politicamente l’efficacia della sua strategia: un micidiale miscuglio a base di bombardamenti a tappeto sui civili coperti da una fitta coltre di propaganda che lo dipingeva come ultimo baluardo contro l’islamismo (una carta giocata già in Cecenia), alleanze sempre più strette con tutti i regimi più retrivi e sanguinari della regione (dalla Siria all’Iran), e ad amalgamare il tutto la piena fiducia nel fatto che tanto gli americani quanto gli europei avrebbero consentito qualunque crimine pur di risparmiarsi altre guerre. Previsione ulteriormente confermata dalla loro debolissima reazione all’occupazione della Crimea nel 2014 e all’inizio del conflitto nel Donbass (anch’esso punteggiato di trattative diplomatiche a non finire, tutte concluse con la sostanziale certificazione della legge del più forte), fino all’ultima replica dello stesso infame copione, su più larga e sanguinosa scala, con l’invasione dell’intera Ucraina nel febbraio 2022.
Commenti
PUTIN NON SI PUÒ PERMETTERE DUE FRONTI E SCEGLIE L’UCRAINA – SECONDO L’INTELLIGENCE MILITARE DI KIEV, I MILITARI RUSSI STANNO SCAPPANDO DALLA SIRIA, DI FRONTE ALL’AVANZATA DEI RIBELLI JIHADISTI – NEL 2015 “MAD VLAD” SALVÒ IL REGIME DI ASSAD CON BOMBARDAMENTI A TAPPETO, OGGI NON HA PIÙ LE FORZE PER UNA NUOVA CAMPAGNA INTENSIVA. GLI UOMINI MIGLIORI SONO STATI RITIRATI E SPOSTATI IN UCRAINA: PUTIN NON PUÒ ABBANDONARE DAMASCO E LO SBOCCO SUL MEDITERRANEO, MA SARÀ COSTRETTO A FARLO…dagospia.com
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