LETTERE L'antica propaganda anti israeliana dietro alla menzogna dell'apartheid
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Qui siamo in presenza di una maggioranza di imbecilli senza una minoranza intelligente. Intanto a sinistra, per usare un eufemismo, se ne stanno tutti “zitti e buoni”
25 GEN 2024 lettere Direttore ilfoglio.it lettura 2’
Chi ha scritto al direttore Claudio Cerasa
Al direttore - Sabato prossimo, Giorno della Memoria, un sedicente movimento degli studenti palestinesi manifesterà a Roma “Contro ogni sionismo e fascismo; contro la pulizia etnica dei palestinesi; per la fine immediata del genocidio e dell’occupazione; per la fine dell’assedio imposto a Gaza; per la fine della complicità e del sostegno al sionismo del nostro governo”. La provocazione è disgustosa, ma è il degno epilogo di una rabbiosa campagna antisemita portata avanti in questi mesi da centri sociali, gruppuscoli del sovversivismo rossobruno e, acer in fundo, da intellettuali e accademici in cerca di visibilità. Diceva André Marlaux che in ogni minoranza intelligente c'è una maggioranza di imbecilli. Qui siamo in presenza di una maggioranza di imbecilli senza una minoranza intelligente. Intanto a sinistra, per usare un eufemismo, se ne stanno tutti “zitti e buoni” (come recita la canzone dei Maneskin).
Michele Magno
La menzogna dell’apartheid, come ricorda giustamente il Wall Street Journal, riecheggia una vecchia propaganda anti israeliana di stampo sovietico. Allora, come oggi, lo scopo di questa propaganda è quello di “contrassegnare Israele come un paese fuori dagli schemi, al di fuori della comunità delle nazioni, e quindi legittimo ad essere attaccare, anche con il terrorismo”. In una risoluzione delle Nazioni Unite del 1982, ricorda ancora il Wsj, il blocco sovietico e quello arabo si unirono per affermare, rispetto a Israele, “la legittimità della lotta… con tutti i mezzi disponibili, compresa la lotta armata”. Ci si può girare attorno finché si vuole ma le radici dell’odio contro Israele sono anche queste.
Al direttore - Giorgio era il secondogenito di quattro fratelli. Mancino naturale, aveva un tiro secco e fulminante che non lasciava quasi mai scampo al portiere avversario. Era la nostra punta di diamante e nelle sfide con i vicini rivali dei lotti della Garbatella era sempre determinante. Tifava Cagliari, o meglio, giggirriva. E non poteva essere altrimenti all’inizio degli anni settanta. Giggirriva e il suo Cagliari avevano aperto i seventies con il miracolo calcistico dello scudetto in terra sarda. Cosa unica e irripetibile. Riva aveva un tiro potentissimo, una agilità da acrobata ed uno stacco di testa da cestista. Giorgio cercava di emularlo; e dal bianco e nero dei filmati delle partite in tv cercava di imitare le sue gesta, ridandogli il colore della realtà, per quanto possibile. E proprio quel bianco e nero, la rarità delle immagini e la preponderanza dell’immaginazione dei ragazzini erano i motivi che facevano di giggirriva un semidio. Col suo fisico possente, con il suo profilo spigoloso, con la smorfia tenebrosa e con la sue poche ma accurate parole arrivava a noi come un eroe greco, un messaggero degli dei con le ali alle caviglie e la velocità del vento. Giorgio è da un po’ di anni che non lo incontro. Avrà la sua degna vita, immagino. E avrà ancora la sua vecchia maglia rossoblù, quella con il colletto a V. E forse oggi Giorgio la starà cercando per indossarla un’ultima volta, in omaggio a giggirriva che se ne è tornato dagli dei. Perché è al loro fianco che deve stare chi è stato capace di scegliersi un popolo da rappresentare e una terra da amare, pronunciando, col coraggio degli intrepidi e la serenità degli onesti, un semplice no. No agli “squadroni del nord”, no alla gloria spesso vana dei titoli dei giornali, no al potere dei politici d’accatto. La morte di giggirriva ci lascia in eredità una responsabilità semplice eppure più che mai necessaria: saper dire no. Gratzias pro semper Giggirriva.
Andrea Panzironi, tassista
Commenti
“Uscire dalla fossa significa restituire i rapiti, ripristinare i kibbutz distrutti, far tornare a casa i riservisti e cercare di porre fine alla guerra. Non è una sfida semplice", dice il giornalista al Foglio
Sinwarhamas aspetta, ma Israele ha un potenziale per negoziare sfruttato solo a metà
La settimana scorsa Nahum Barnea sul principale giornale israeliano Yediot Aharonot ha spiegato che l’accordo fra Israele e Hamas che i negoziatori stanno promuovendo prevede otto punti: “Cessate il fuoco di tre mesi, rilascio graduale di tutti gli ostaggi vivi e morti, rilascio di migliaia di detenuti palestinesi, ritiro israeliano da Gaza, raddoppiare gli aiuti umanitari a Gaza, ritorno degli sfollati nella Striscia nord, un’amministrazione finanziata a livello internazionale per la ricostruzione di Gaza e l’inclusione di Hamas nel futuro governo”. Barnea, decano dei giornalisti israeliani e vincitore del Premio Israele, ha chiesto: “La vita di 136 israeliani giustifica tali prezzi? Penso di sì”. Ma che prezzo pagherebbe Israele? “Il 7 ottobre è stata una grande vittoria per Hamas, ma che tipo di vittoria può esserci con due milioni di persone di Gaza fuggite di casa?”, dice Barnea al Foglio. “Il 7 ottobre Israele è caduto in un abisso profondo. Da quel giorno siamo rimasti in fondo alla fossa e ci siamo fatti molte domande: quanto siamo caduti, perché siamo caduti, dov’è il nemico che ci ha abbattuto e come lo distruggeremo”…. GIULIO MEOTTI 25 GEN 2024 estratto ilfoglio.it
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