IL FOGLIO INTERNAZIONALE . Difendersi o scomparire. Per lo storico Bensoussan, Israele non ha alternative

"Il fatto che non si possa sradicare un’ideologia come quella di Hamas con le armi non significa che non ci si debba difendere da essa con le armi", dice a Le Figaro il noto storico francese

22 GEN 2024 ilfoglio.it lettura4’

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"La popolarità di Hamas tra la popolazione palestinese di Gaza mi sembra opinabile quando diversi segnali mostrano innanzitutto una popolazione terrorizzata, una parte della quale sussurra il suo odio, come l’anziana donna che dichiara alla telecamera che ‘tutto va nei tunnel sotterranei’ (sic), rubato dagli uomini di Hamas, o l’anziano che si nasconde a metà il volto dicendo ‘Dio maledica Hamas’” dice a Le Figaro lo storico francese Georges Bensoussan, tra i massimi esperti della storia dell’antisemitismo, autore del saggio “Les Territoires perdus de la République”, di recente ha pubblicato “Les Origines du conflit israélo-arabe, 1870-1950”.

“Che Hamas sia popolare altrove, lì dove l’odio per lo stato ebraico agisce come un afrodisiaco (sic), come disse una volta un sovrano marocchino, è cosa certa, dal momento che ha tenuto sotto scacco Israele il 7 ottobre. Ma cosa dovrebbero fare gli israeliani? Non reagire, con il rischio di rendere Hamas ancora più popolare, quando vedono in questa organizzazione una minaccia esistenziale? Lo dimostra l’articolo 18 della carta di Hamas (2017), secondo cui ‘i seguenti elementi sono considerati nulli e privi di validità: la Dichiarazione Balfour, il documento del mandato britannico, la risoluzione delle Nazioni unite sulla spartizione della Palestina e tutte le risoluzioni e le misure derivate o collegate ad essi. La creazione di ‘Israele’ è totalmente illegale e contravviene ai diritti inalienabili del popolo palestinese e va contro la sua volontà e quella della umma’. Nessuna guerra di Israele era durata così a lungo, il che significa anzitutto che non si tratta di una guerra di devastazione indiscriminata, nel qual caso sarebbe bastata una settimana, ma di una guerra mirata con aerei, fanteria e mezzi corazzati israeliani che avanzano passo dopo passo per smantellare una gigantesca infrastruttura di tunnel che sboccano nel cuore di scuole e ospedali, ma anche di case più banali dove tutto è messo sotto chiave, fino al più modesto divano, per ritardare la distruzione di oltre 800 km di tunnel sepolti fino a 60 metri di profondità, una città sotto la città, cablata, elettrificata, dotata di un sistema di aria condizionata e rifornita di enormi riserve di armi e cibo. Una macchina da guerra costruita negli ultimi sedici anni con miliardi di dollari provenienti dal Qatar, dall’Unrwa (Onu) e dalle nostre tasse attraverso l’Unione europea”.

C’è una differenza nel modo in cui israeliani e occidentali percepiscono il conflitto. "L’evidente differenza di percezione è dovuta principalmente a un filtraggio delle informazioni basato su presupposti cognitivi e ideologici. È il caso, ad esempio, di alcuni media pubblici francesi che evidenziano fatti insignificanti nella realtà israeliana, ma che rafforzano la loro visione, spesso alimentata da uno schema colonialista europeo, che proiettano su situazioni radicalmente diverse. Agli ascoltatori francesi verrà detto che meno di dieci giovani israeliani si sono rifiutati di prestare servizio (su 350.000 mobilitati). Al contrario, le migliaia di israeliani che sono tornati dall’estero per arruolarsi senza essere stati richiamati sono stati a malapena menzionati, anche se riflettevano un consenso nazionale che era l’unico modo per spiegare l’assenso della popolazione a questa lunga guerra. In secondo luogo, si rimane colpiti dalla mancanza di comprensione del passato ebraico nelle terre arabo-musulmane, che porta a trascurare il ruolo centrale della dhimma nel perpetuare questo conflitto, come evidenzia l’articolo 31 della carta di Hamas, che afferma che ‘all’ombra dell’islam, i seguaci delle tre religioni, islamica, cristiana ed ebraica, possono coesistere in sicurezza e fiducia’. In parole povere, un progetto per far rivivere la dhimma”.

La popolazione israeliana continua a sostenere la guerra nonostante gli ostaggi, le perdite militari e le conseguenze economiche. “Perché la popolazione israeliana vede Hamas come una minaccia esistenziale. Questa organizzazione non ha i mezzi per distruggere lo stato ebraico, ma sta sviluppando una retorica di massacri di massa che è sfociata in un’esplosione di violenza il 7 ottobre 2023. Ciò ha fatto rivivere lo spettro dello sterminio, alimentato da un ‘rifiuto arabo’ apparentemente insormontabile. Ma senza ricorrere alla memoria della Shoah, gli israeliani sanno per esperienza (a questo proposito, il 7 ottobre è suonato come un ritorno alla realtà) ciò che significa questo desiderio di cancellarli dalla faccia della terra. Fin dalle crudeli uccisioni del 1929 e dall’assassinio dei civili ebrei nel 1948, come ha scritto Amos Oz in ‘Una storia di amore e di tenebra’: ‘Ogni città ebraica caduta in mano agli arabi durante la guerra d’indipendenza è stata cancellata dalla mappa senza eccezione (...). Nei territori conquistati, gli arabi attuarono una pulizia etnica molto più radicale di quanto fecero gli ebrei nello stesso periodo. (...) Sulla riva occidentale del Giordano e nella Striscia di Gaza (...) non era rimasto un solo ebreo. I loro villaggi erano stati spazzati via, le sinagoghe e i cimiteri distrutti’. Quando riducono la lunga storia del conflitto alla tragedia della Nakba, gli occidentali ignorano questa coscienza nazionale israeliana”.

Gli israeliani non hanno mai preteso di sradicare l’ideologia di Hamas, “vogliono solo spezzare una minaccia immediata, consapevoli che questa ideologia sopravvivrà alla sconfitta militare di Hamas. Ma il fatto che non si possa sradicare un’ideologia con le armi non significa che non ci si debba difendere da essa con le armi. In assenza di prospettive di pace, come dimostrato dalla mobilitazione dell’’opinione arabo-musulmana’ il 7 ottobre quando lo Stato ebraico aveva appena incassato i colpi che tutti conosciamo, a meno che non scelgano di scomparire, quale altra scelta rimane agli israeliani se non quella di combattere con le armi. Tanto più che sanno che al minimo segno di indebolimento, un nuovo 7 ottobre, su scala più ampia, questa volta forse su scala nazionale, potrebbe mettere fine alla loro esistenza”.

(Traduzione di Mauro Zanon)

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