L’indigesto Trump e l’eterogenesi dei fini
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Israele, Putin, il clima e il free trade: vuoi vedere che alla Casa Bianca si determina il famoso bene che viene dallo “intrare nel male” machiavellico?
di Giuliano Ferrara 1 Gennaio 2017 alle 06: Foglio
Non potrò mai scrivere “mi sono sbagliato” a proposito di Trump, che tra qualche giorno sarà presidente degli Stati Uniti. E’ un ladro, mi ha rubato il pane della scorrettezza politica, facendo di uno strumento delicato e possente di liberazione dal conformismo un conformismo di massa ispirato alla tremenda demoniaca efficacia di faziosità, lingua da celebrity, supervolgarità, cattivo uso delle parole e dei gesti, e molto altro.
Potrò tornare ad argomentare sull’eterogenesi dei fini, questo sì. Berlusconi mi era e mi è in modo singolare consanguineo, non solo maledettamente e oscenamente simpatico come il cialtrone in chief, c’era una solidarietà di fondo con il fratellino imprenditore del politico Craxi, un anticomunismo pazzotico ma benedetto, un tratto rivoluzionario che ha lasciato una immensa eredità, ma anche in quel caso scommettevo sull’eterogenesi dei fini: voleva salvare le aziende e ha salvato libertà di tono e di vita decisive in un paese che in merito oscilla fra liberalismo informale e eterodosso e tendenze stataliste e protettive di tipo barbarico, uno sciupio d’intelligenza e di sentimento. Ha cambiato destra e sinistra irreversibilmente.
Nel lunedì pre-elettorale americano, il 7 novembre scorso, avevo scritto proprio qui che poteva arrivare la cattiva sorpresa di un presidente eletto da Putin e dall’Fbi. Una semplificazione, ma non una scemenza, credo.
Ha vinto per una manciata di voti in tre stati decisivi, il Wisconsin, il Michigan e la Pennsylvania. Ha prevalso senza incertezze, malgrado il voto popolare che in America non conta e che è andato alla sua avversaria con una maggioranza molto netta: è la regola della federazione di stati che equilibrano il loro peso diminuendo l’impatto della densità di popolazione a favore dell’identità statale (in Senato hanno due senatori sia gli stati grandi sia gli stati piccoli), ridicolo metterla in discussione, ha una sua ratio, oltre che la evidente vigenza obbligatoria per tutti. Si è meritato la vittoria per ragioni infinite che più o meno conosciamo, e per demeriti dei democratici, ma se l’è meritata, il con artist nato in un reality. Ma Wikileaks, gli hacker russi e l’Fbi non sono uno scherzo. Comunque.
Spero di poter scrivere nel 2017 che, sebbene resti fermo sul giudizio iniziale, l’eterogenesi dei fini ha giocato una partita di quelle sue, determinando il famoso bene che viene dallo “intrare nel male” machiavellico. L’ambasciata a Gerusalemme mi va bene, sopra tutto visti gli ultimi fuochi di Obama all’Onu. Una Corte Suprema meno inquinata dalla correttezza progressista in materie giuridiche ed etiche mi va bene, nella memoria del grande Antonin Scalia. Una linea efficace con Putin mi andrebbe bene, visto che Obama ha fatto tante chiacchiere e Putin, con la sua tremenda e sospetta ambivalenza, è diventato mezzo padrone del mondo sotto il regno del presidente americano uscente. La messa in guardia dell’Iran, ne sarei felice, visto il calabraghismo dell’occidente nel jihad in corso, al quale manca solo il tocco prenucleare. Quanto al free trade, con l’aria che tira forse è meglio che per qualche correzione necessaria se ne occupino i compagnucci della parrocchietta miliardaria di The Donald piuttosto che Corbyn o Sanders o Piketty o Marine Le Pen o Virginia Raggi. Forse arriveranno buone notizie dalle Università americane in mano all’ideologia afro o di gender, forse. Può arrivare il miracolo di un centrosinistra democratico americano che non ripeta l’errore del centrosinistra italiano con Berlusconi, l’ostracismo generico e il blocco contro blocco a prescindere dalle conseguenze, ma ne dubito. Mi va bene se finisce questa puzzonata dell’uomo signore del clima al posto del sole e della storia e struttura geologica e astrofisica dell’universo: è una religione, delle più perniciose, e se i mari si alzano vuol dire che le terre si dovranno ritirare, e bisognerà pregare il padreterno non la conferenza di Parigi o la Raccolta Differenziata.
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In un momento di non raro cinismo latino, e di humour ebraico, una persona a me cara e vicinissima ha detto, dopo lamentazioni newyorchesi interminabili di un giro di amici liberal e ultraliberal: mi sa che abbiamo vinto senza neanche il bisogno di votarlo. Spero di poter continuare a ridere di quella battuta. E spero che tutti voi lettori possiate ridere, comunque la pensiate, per tutto l’anno che viene, e oltre.
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