Un vincolo per domarli
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Cosa significa, per Renzi e per il paese, uscire dalla retorica del “vincolo esterno” e sfidare l’Italia che si è fatta ingessare dai burocrati europei. L’errore di Carli
"Molte lingue, una voce". Per promuovere lo spirito europeo, Bruxelles negli anni 90 diffuse anche questo poster del Consiglio europeo raffigurato come una Torre di Babele in costruzione
di Paolo Savona | 26 Gennaio 2016 ore 10:19 Foglio
Il Foglio ha colto l’importanza del mutamento di attitudine del governo nei confronti del “vincolo esterno” che, se divenisse permanente, sarebbe un cambiamento epocale della politica italiana perché punterebbe a educare i cittadini a valutare e ad accettare ciò che andrebbe fatto per collocarsi nel contesto geopolitico, invece di farselo imporre dall’esterno, Europa compresa. Ho a lungo discusso con Guido Carli la fondatezza di questa politica, ma solo meditando sul tema sono pervenuto alla conclusione che il rafforzamento del vincolo esterno deciso con la firma del Trattato di Maastricht e l’adesione affrettata all’euro avrebbero comportato la trasformazione del vincolo esercitato dal mercato internazionale in uno gestito da burocrazie sovranazionali; questa è una differenza di non poco conto di cui oggi percepiamo le implicazioni per il paese. Ecco dunque alcune mie riflessioni sul tema, raccolte negli ultimi tempi, a partire da un seminario tenuto all’Università di Pisa due anni fa per il centenario per la nascita di Carli, e poi approfondite fino a oggi.
Le virtù taumaturgiche del vincolo esterno per la società italiana sono state sempre un’idea di riferimento dell’azione politica di Carli, ma non è mai stato osservato che nel corso della sua straordinaria carriera egli ha cambiato opinione su chi dovesse gestire il vincolo; o, quanto meno, ha sottovalutato la profonda differenza di un cambiamento dal vincolo esercitato dalla competizione di mercato a uno esercitato da una burocrazia, quella europea, che non ha dietro un’organizzazione di stato democratico propriamente definita.
La prima applicazione di Carli del vincolo esterno fu di portare l’Italia ad aderire all’Accordo di Bretton Woods per imporre la scelta “di mercato aperto alla concorrenza” ai gruppi dirigenti dello stato e della politica usciti dal Fascismo. Nella sua “Intervista sul capitalismo” rilasciata a Eugenio Scalfari (Laterza, 1977), egli disse di condividere il giudizio dell’Economist che l’Italia fu fatta entrare “recalcitrante” nella competizione internazionale. L’impegno che egli pose per raggiungere lo scopo fu tale che egli stesso ammise privatamente che inventò statistiche capaci di porre in buona luce gli andamenti economici dell’Italia. Da ministro del Commercio estero nel governo Zoli avviò la liberalizzazione degli scambi dopo aver risolto come direttore dell’Unione europea dei pagamenti il network monetario necessario per farla ben funzionare; anche questo era da lui considerato un vincolo esterno gestito dal mercato. Con lo stesso riferimento ha guardato con favore il formarsi del mercato comune europeo, pur con qualche grossa riserva per la costruzione monetaria che si andava delineando, come tale e rispetto al più grave problema del dollaro incontrollato per usi internazionali, esaltato dallo sviluppo dell’eurodollaro che egli stesso aveva propiziato con il rideposito delle riserve in dollari che permise alle banche italiane. Il suo scetticismo sulla costruzione monetaria europea si manifestò all’atto dell’adesione al primo accordo di fluttuazione congiunta delle monete europee, noto come “serpente monetario”, trovandosi nella condizione di supplente del ministro del Tesoro Malagodi, che si stava insediando in Via XX Settembre dopo un’ennesima crisi di governo. Di seguito il governo italiano l’approvò, forse incosciente delle conseguenze che ne sarebbero derivate; Carli riteneva che l’Italia non fosse preparata ad affrontare le conseguenze di un regime di cambi quasi fissi, ripeto anche per la presenza del dollaro libero di fluttuare dopo la decisione dell’agosto 1971. La situazione allora non è dissimile da quella odierna in cui i rapporti del dollaro con l’euro generano un cambio che non dipende dal combinato effetto della politica monetaria e delle condizioni economiche europee, ma dalla volontà dei creatori di dollari (Stati Uniti e “moltiplicatori” della moneta mondiale) e dei detentori della moneta americana (Cina e paesi che hanno le riserve ufficiali in dollari). Carli ebbe conferma della sua valutazione contraria all’aggancio della lira nel meccanismo di fluttuazione congiunta perché l’accordo monetario europeo durò poco, nonostante la Banca d’Italia avesse chiesto e ottenuto un regime di oscillazione più ampio per la nostra moneta.
Fino a quel punto il vincolo esterno di Carli era gestito dal mercato. Il quesito è come mai nel 1992 egli cambiò idea accettando che il vincolo venisse gestito dalle strutture europee. La mia conoscenza dei fatti indica che ciò accadde dopo la sua esperienza da presidente della Confindustria. Nel mio saggio su “Carli in Viale dell’Astronomia” (Bollati Boringhieri, 2008) ho sostenuto che egli perse fiducia nella possibilità che i gruppi dirigenti italiani della politica e dell’economia accettassero la logica della competizione di mercato e che fosse perciò necessario tornare a un regime vincolante di cambi fissi che aveva le caratteristiche dell’accordo di Bretton Woods, ma senza la possibilità di aggiustare il cambio, sia pure in modo concordato; decise perciò di “consegnare” l’Italia all’Europa, di fatto trasformando il vincolo “di mercato” in vincolo “da Trattato” gestito da istituzioni e burocrazie di secondo livello rispetto a quelle nazionali, senza dare vita a una forma di stato vero e proprio. Eppure posso affermare con certezza che Carli non stimava le burocrazie europee; ne è testimonianza la vicenda da me vissuta come direttore generale “mancato” per gli Affari economici della Commissione europea: ebbi infatti un conflitto sull’attribuzione delle competenze monetarie che il Commissario capo Xavier Ortoli, il quale attribuì i poteri al mio vice direttore generale di designazione tedesca, prima ancora che entrassi nell’incarico, costringendomi a rinunciare all’incarico anche su suggerimento di Carli.
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