Come le “parti sociali” ti sgambettano le riforme radicali
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La Fiom propone condizioni salariali lunari, la Confindustria si barcamena sulla produttività. Avanti a gambero sui contratti
di Renzo Rosati | 27 Ottobre 2015 ore 10:47 Foglio
Roma. La sfida del governo passa in quello stretto pertugio tra la legge di Stabilità e le ostilità dei sindacati dei lavoratori e degli imprenditori. Ieri a Milano all’assemblea della Assolombarda, l’associazione territoriale di Confindustria col maggiore peso specifico, Giorgio Squinzi ha dichiarato sospeso il giudizio sulla legge di Stabilità finché non passerà il vaglio del Parlamento. Il presidente di Confindustria è assediato in casa dalle associazioni dei meccanici e da quelle del nord-est per avere tradito la promessa di una svolta nelle relazioni industriali mediante la diffusione dei contratti aziendali a scapito di quelli nazionali. Squinzi ha poi chiesto al governo di dare presto un indirizzo di politica industriale. L’esecutivo, attraverso il ministro dell’Economia, Pier Carlo Padoan, presente all’Assemblea, ha invece ricordato agli imprenditori che la manovra prevede incentivi per 1,7 miliardi alle imprese e vuole ridurre di quasi due punti la pressione fiscale. Padoan ha poi suggerito agli imprenditori di fare in fretta ad assumere perché i bonus assunzioni del governo (40 per cento di contributi in meno per 24 mesi) scadranno nel 2016, quindi “assumete!”. Mentre il ministro era stato fino a poco prima impegnato a disinnescare una polemica tra il sottosegretario del Mef, Zanetti, e il direttore dell’Agenzia delle entrate, Rossella Orlandi, che aveva lamentato “la morte delle agenzie” esattrici.
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Aumenti del salario annui e automatici “che facciano riferimento a una serie di parametri: l’andamento inflattivo e il reale costo della vita in Italia e in Europa, l’andamento del settore, della produzione industriale, della redistribuzione del valore aggiunto e della ricchezza prodotta”. Si apre così la piattaforma contrattuale della Fiom di Maurizio Landini: formule che richiamano i totem degli anni Settanta, a cominciare dal “salario variabile indipendente” che un segretario della Cgil di allora, Luciano Lama, sconfessò definendolo “un errore e una sciocchezza”. Già nel 2016 la Fiom chiede un aumento del 3 per cento, rispetto allo 0,3 di inflazione rilevato dall’Istat in Italia a settembre e al meno 0,1 dell’Europa: dunque una super scala mobile.
Quanto al doppio livello contrattuale – nazionale e aziendale – la Fiom lo accetta a condizione che il miglior trattamento ottenuto per un verso venga “conglobato” nell’altro. Ovviamente il sindacato di Landini si batterà per la cancellazione del Jobs Act mentre per il 21 novembre lancia una mobilitazione nazionale contro la legge di Stabilità. La controparte è la Federmeccanica, rappresentata ai vertici confindustriali da Stefano Dolcetta, vicentino, vicepresidente per le relazioni industriali. Dolcetta, amministratore delegato della Fiamm (batterie), nei giorni scorsi si è fatto portavoce del malumore degli imprenditori del nord per il rinnovo del contratto dei chimici e alimentaristi. Contratto che sconfessa il “Manifesto per le relazioni industriali” presentato tempo fa in pompa magna da Confindustria e dal presidente Giorgio Squinzi con l’intento di riportare la contrattazione il più vicino possibile alla fabbrica e agli obiettivi di produttività. Sul tavolo di Squinzi ora ci sono le lettere di protesta di Dolcetta e delle unioni industriali come Vicenza, Padova, Treviso: il contratto dei chimici viene giudicato “per nulla innovativo, costoso e nel solco delle vecchie trattative nazionali”. Squinzi, già capo della Federchimica, è sospettato di avere ispirato la linea consociativa buttando a mare le belle intenzioni. Eppure a inizio ottobre, presentando un rapporto del Centro studi confindustriale che dimostra come dal 2000 al 2014 i salari reali siano aumentati più della produttività, riportando la quota di costo del lavoro al livello di 40 anni fa, Squinzi aveva annunciato l’abbandono dei tavoli sulla riforma del modello contrattuale. Mentre da tempo nella Confindustria c’è chi lavora – soprattutto la Federmeccanica – per ricucire i rapporti con la Fca di Sergio Marchionne, che sbatté la porta nel 2011 e che anche con l’ultimo accordo sindacale della Chrysler americana ha appena dimostrato i benefici per tutti, sindacati compresi, della contrattazione aziendale. Ma richieste stile Fiom e il cerchiobottismo stile Confindustria, “prefigurano il sequestro della contrattazione da parte di pochi, appunto come negli anni 70” dice al Foglio un imprenditore. Allora furono Lama e Gianni Agnelli, e anche l’Avvocato fece autocritica. Fatte tutte le proporzioni non ci sono solo Landini e Squinzi: nel rinnovo del contratto dei bancari l’Abi ha accettato di limitare l’applicazione del Jobs Act, il che ha dato modo a Susanna Camusso di esultare: “Visto? Abbiamo fatto meglio di Renzi”. La presa in ostaggio della competitività da parte di industriali un po’ pavidi e di sindacalisti assidui della piazza, televisiva e non, peraltro, non fa dimenticare che 40 anni fa l’Italia era alle prese con il terrorismo. Oggi deve solo adeguarsi all’Europa e all’occidente: come non manca di ammonire il Sole 24 Ore, quotidiano di Viale dell’Astronomia.
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