Altro che Agenzia delle entrate: così si esce dal clima di dittatura fiscale
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La riduzione dell’evasione può avvenire solo con la riduzione delle tasse e la conseguente riduzione della spesa. Facile no?
di Claudio Cerasa | 28 Ottobre 2015 ore 06:18 Foglio
Sappiamo tutti che lo scontro tra il governo e l’Agenzia delle entrate non è solo un battibecco episodico legato esclusivamente alla ricerca di visibilità di un sottosegretario a capo di un partito di cui in pochi in Italia ricordavano l’esistenza. Lo scontro esiste da tempo, Renzi ha cominciato a disinnamorarsi della signora Orlandi all’inizio dell’anno, durante la polemica sulla soglia di punibilità del tre per cento per i reati fiscali, e dietro le veline del ministero dell’Economia sulla “fiducia assoluta” nei confronti del capo dell’Agenzia delle entrate si nasconde un tema cruciale con cui si ritrovano a fare i conti tutti i governi che provano a conquistare quella parte di elettorato identificata genericamente e volgarmente con la definizione di “popolo delle partite Iva”.
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Lo schema è sempre lo stesso: in un paese in cui la pressione fiscale è a livelli di guardia, a un certo punto della storia capita che un governo che vuole parlare “alla pancia del paese” cade nella tentazione di scaricare sull’Agenzia delle entrate e su Equitalia la responsabilità della persistenza nel paese di un clima da dittatura fiscale. Sarebbe bello poter dire che il clima è creato solo dalle cartelle pazze di Equitalia, dall’invasività dell’Agenzia delle entrate, dalle operazioni anti evasione stile Cortina ma purtroppo non è così; e prima o poi anche Renzi dovrà fare i conti con quella che è un’equazione matematica. Il clima da dittatura fiscale esiste non perché l’Agenzia delle entrate si occupa di “perseguire il massimo livello di adempimento degli obblighi fiscali da parte dei contribuenti” ma perché la classe politica non riesce a fare le uniche due cose che servirebbero per alleggerire il carico fiscale sui contribuenti: abbassare le tasse tagliando la spesa pubblica. Non si tratta di un teorema ideologico o di un mantra neoliberista ma si tratta di riconoscere che abbassare le tasse senza tagliare la spesa e lasciando per di più che gli enti locali alzino le tasse di una quota simile a quella tagliata dal governo centrale è un gioco a somma zero. Volendo allargare l’inquadratura del nostro ragionamento, poi, si potrebbe dire che c’è un collegamento diretto tra una lotta sana contro il regime fiscale e una lotta sana contro l’evasione fiscale. Se è vero che ormai anche la sinistra più radicale ma con un po’ di sale in zucca ha riconosciuto che in Italia esiste un’evasione generata da una pressione fiscale insostenibile, è anche vero un altro ragionamento che ci fa tornare al cuore della questione.
Per anni si è sostenuto scioccamente che la riduzione delle tasse fosse da finanziare con i proventi ricavati dalla lotta all’evasione. Oggi possiamo dire che è vero il contrario: la riduzione dell’evasione può avvenire solo con la riduzione delle tasse e la conseguente riduzione della spesa. Facile no? E’ comprensibile che Renzi cerchi di conquistare quella parte di paese che vede nel fisco un nemico da cui difendersi. Meno comprensibile che il premier non faccia uno sforzo per riconoscere che uno stato che combatte l’evasione senza tagliare le tasse come potrebbe e che non taglia la spesa pubblica come dovrebbe è uno stato che alla fine risulterà sempre, agli occhi dei cittadini, come il vero complice della dittatura fiscale – altro che Agenzia delle entrate.
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