“Segni di ritorno della crisi globale”. Giulio Tremonti è uomo dalle poche, ma ben pesate dichiarazioni.
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- Categoria: Economia
L’ex ministro dell’Economia dei governi Berlusconi è oggi attento analista delle dinamiche globali e ha recentemente espresso tutte le sue preoccupazioni sul futuro dell’economia mondiale.
Andrea Muratore,7.10.2019 da it.insideover.it
In una recente lettera al Corriere della Sera Tremonti ha presentato un suo complesso e “sempre più angoscioso” alfabeto della crisi: “A come auto, il dinosauro industriale prossimo venturo; B come banche centrali, ormai fabbriche a ciclo continuo di trilioni di moneta a tasso zero; C come Cina, la rivale degli Usa nella guerra fredda 2.0.; D come dazi, tra le armi più usate in questa guerra; E come Europa post Brexit, persi i mari”, e così via. Dopo il recente chiarimento sulle sanguinose clausole Iva imposte negli ultimi anni all’Italia Tremonti si espone dunque nuovamente su temi di grande rilevanza internazionale.
L’economia mondiale va surriscaldandosi e non finiscono di accumularsi i potenziali fattori di instabilità. La guerra dei dazi è giustamente ritenuta da Tremonti come strumentale. I dazi e le tariffe doganali sono un mezzo, non un fine: lo hanno capito bene gli Usa, che in risposta al via libera del Wto ai dazi all’Ue hanno colpito non solo Airbus ma anche il settore agroalimentare europeo chiuso al commercio con Washington, ma anche la Cina, che contro gli States minaccia a più ripresa la guerra totale sulle strategiche terre rare.
I fattori di rischio che mettono a repentaglio l’economia e la stabilità del pianeta diventano sempre più eterogenei e di difficile controllo. Quando la leadership economica è elemento della funzione della politica di potenza, del resto, è inevitabile. Le economie occidentali soffrono sia sul fronte esterno che su quello interno. Alla regressione delle prospettive di commercio si deve aggiungere l’ampia e costosa sfida tecnologica tra Usa e Cina, il tema delle sempre più laceranti disuguaglianze, la spada di Damocle del “Qe globale” che potrebbe far collassare da un momento all’altro la quinta di cartapesta della solidità finanziaria occidentale, le gore morte dei tassi negativi in cui sono bloccati titoli per trilioni di dollari di valore.
Il caso dell’attacco alle raffinerie di petrolio saudite di metà settembre ha dimostrato la vulnerabilità dell’economia internazionale all’imprevedibile, la scarsa resilienza del sistema. Il “cigno nero” arriva senza annunciarsi e scatena il panico. Anticipando Tremonti, di recente, intervistato dall’Agi, il presidente della Consob Paolo Savona ha indicato nella guerra dei dazi, nel conflitto valutario e nell’assenza di un dialogo multilaterale sulla governance economica globale altrettante fonti di instabilità su cui potrebbe impattare un cigno nero finanziario, come da lui anticipato in occasione di diversi interventi ai tempi della sua titolarità del ministero degli Affari Europei.
Parlando al quotidiano di Via Solferino, del resto, Tremonti invita a lavorare sui fattori di rischio limabili, a prendere consapevolezza dei problemi concreti dell’economia mondiale. Temendo di rimanere un solitario predicatore nel deserto come nel periodo precedente la Grande Recessione: “Nel novembre del 2006, in un’ intervista al Corriere (L’ America rischia un nuovo ’29), e poi nella primavera del 2008, in un libro (La paura e la speranza. La crisi globale che si avvicina), ho detto e scritto sulla crisi globale allora quasi universalmente esclusa, se non da alcuni che tuttavia ne vedevano solo i sintomi finanziari e non le cause politiche”. Come nel 2007-2008 il crollo dei subprime e il crack di Lehman Brothers non furono dei big bang istantaneima il frutto del collasso del modello di finanza deregolamentata, anche oggi i sintomi per un nuovo colpo a poco più di dieci anni di distanza sono sotto gli occhi di tutti. Amplificati dalla corsa alla leadership mondiale che impedisce la costruzione di un sistema di regole internazionali rinnovato per far fronte in anticipo a nuovi scenari di crisi globale.