Marco Bentivogli, il sindacalista 4.0 che ne ha per tutti
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I robot non distruggono i posti di lavoro. Landini è «un catodico che fa bla bla». Il reddito di cittadinanza non serve. C'è bisogno di tecnologia e formazione. La ricetta del segretario Fim Cisl a Roma InConTra.
MASSIMO PITTARELLO, 21.4.2018 www.lettera43.it
Non ha paura di andare controcorrente. Anzi alla sua diversità ci tiene e, pur senza ostentazione, la sottolinea. Per esempio dice che la tecnologia non distrugge i posti di lavoro, ma invece li crea. E che chi scambia i robot per nemici capisce poco o nulla. E non esita a confermare che lui e Maurizio Landini della Fiom sono agli antipodi. Costui è Marco Bentivogli, il segretario generale dei metalmeccanici della Cisl che i maligni hanno ribattezzato «sindacalista 4.0» senza capire che così gli hanno fatto un favore.
URGE UN CAMBIAMENTO PROFONDO. Nato a Conegliano nel 1970, autore con Carlo Calenda di un manifesto per la modernizzazione del nostro sistema industriale - basato su tre pilastri: competenze, impresa, lavoro - Bentivogli è stato il primo sindacalista ad affrontare il tema dei cambiamenti nell’industria dovuti alla tecnologia e alla globalizzazione. E di conseguenza anche quello che più ha guardato in faccia la crisi del sindacato, cui chiede un cambiamento profondo.
CI SONO SFIDE DI TUTT'ALTRA NATURA. Ospite di Roma InConTra, il segretario di Fim-Cisl ha raccontato a un interessato Enrico Cisnetto, che non ha nascosto una aperta simpatia nei suoi confronti e una sintonia inusuale, che è tutta questione di «Ritmo». Infatti già nel 1978 la Fiat produceva quell’automobile negli stabilimenti di Cassino in modo del tutto automatizzato. Quattro decenni dopo, ai tempi della vertenza Foodora, dei braccialetti di Amazon, di Industria 4.0 e di Lavoro 4.0, il sindacato ha di fronte, evidentemente, sfide di tutt’altra natura, con il mondo del lavoro che è totalmente cambiato.
Landini fa solo denuncia rispetto a una retorica vecchia e morta, che chiamerei populismo sindacale. Bisogna studiare di più
Bentivogli ha affrontato il nodo delle relazioni industriali partendo dal titolo del suo libro edito da Castelvecchi: Abbiamo rovinato l’Italia?, si è domandato, provando a rispondere già nel sottotitolo: “Perché non possiamo fare a meno del sindacato”. Già, ma quale sindacato? Certo non tutto, almeno per come è oggi. «Ci sono stati tempi d’oro del sindacato, ma sicuramente non sono questi. Landini per esempio», ha detto Bentivogli, «fa solo denuncia, è un catodico, fa il sindacalista part time. Bisogna studiare di più. Lui fa il bla bla rispetto a una retorica vecchia e morta, che chiamerei populismo sindacale».
LEVE IDEOLOGICHE TROPPO VECCHIE. Capito di che razza è questo veneto non ancora cinquantenne? Per lui Landini è un «sindacalista catodico», e lo ha detto chiaro e tondo, senza i timori reverenziali che i suoi colleghi hanno verso i totem sindacali, come la Fiom è sempre stata. Per Bentivogli il problema di chi dovrebbe difendere i diritti dei lavoratori è che il più delle volte lo fa facendo scattare riflessi condizionati, leve ideologiche vecchie. Per esempio c’è «l’estrema sinistra italiana che si beve i rapporti di McKinsey, anche se ci capisce poco e niente, come se fossero vangelo. Oltre a non aver presente che anche un bancomat è tecnologia».
PROBLEMI ECONOMICI E CULTURALI. Insomma, il “sindacalista 4.0” ne ha per tutti. Anche per «l’idea tutta californiana che un 10% dei lavori iper specializzati possa bilanciare il restante 90% che dovrebbero vivere con il reddito di cittadinanza. Questo rappresenta non solo un problema economico, ma anche e soprattutto culturale e etico». Addio reddito di cittadinanza, insomma. E pazienza se i cinque stelle hanno preso il 33% dei voti. Per lui le sfide del lavoro del nuovo millennio sono ben altre e sono note.
Da sinistra Marco Bentivogli, Enrico Cisnetto e Luca Manuelli sul palco di "Roma InConTra".
Quali? Con Bentivogli, sul palco di Cisnetto, c’era Luca Manuelli, chief digital officer di Ansaldo Energia, azienda all’avanguardia sul piano dell’innovazione tecnologica digitale, e guru del management digitalizzato. Insieme hanno fatto la lista: c’è l’interconnessione di nuove tecnologie differenti tra loro, l’interdipendenza della fabbrica, la possibilità di creare prodotti profilati sull’esigenze dei clienti grazie ai big data. «Siamo di fronte a un’innovazione di processo e all’addio delle produzioni in serie», ha spiegato Bentivogli, «visto che oggi i prodotti cambiano già durante la produzione in base alle informazioni che arrivano. Chiamateli sartoriali, se volete».
L'EXPORT CRESCE, IL RESTO PERÒ NO. In tutto questo l’Italia è a metà del guado. C’è una «locomotiva che viaggia forte, esportando e vendendo con successo con una crescita dell’export che nel 2017 si è attestata attorno al 7%». Solo che gli altri vagoni non riescono a tenere il passo. E a volte deragliano. La politica è un problema, soprattutto si diventa la ragion d’essere del sindacato. Ma anche l’assenza di strategia e di formazione è un guaio.
L'IMPREPARAZIONE È IL GRANDE MALE. «Per produrre una Fiat Punto ci vogliono oggi 10 lavoratori in meno rispetto a prima. Gli altri nove fanno altro, a patto di aver programmato il cambiamento». Il primo nodo di Bentivogli? «La formazione. In Italia abbiamo appena 8 ore di formazioni annuali a fronte delle 80 previste in Belgio». Allora non è tanto la tecnologia che distrugge il lavoro, ma piuttosto l’impreparazione. D’altra parte, la Ritmo non era poi una gran macchina. Forse piaceva a Landini.