Non si può celare l’assalto fatale della Rivoluzione francese alle libertà
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La dimenticanza “spartana” dello storico Jonathan Israel nel suo ultimo libro. E’ un’opera ambiziosa quanto profondamente sbagliata poiché sfugge la cosa essenziale, e cioè che la Rivoluzione francese ebbe due anime di cui una era la negazione frontale dell’altra
di Luciano Pellicani | 14 Febbraio 2016 ore 06:15 Foglio
Difficile capire le ragioni che hanno indotto la critica a elogiare la recente pubblicazione per Einaudi de “La Rivoluzione francese” di Jonathan Israel. E’ un’opera ambiziosa quanto profondamente sbagliata poiché, a Israel, sfugge la cosa essenziale, e cioè che la Rivoluzione francese ebbe due anime di cui una era la negazione frontale dell’altra. Infatti, a partire dal 1789, la Francia fu il teatro di due rivoluzioni. “La prima rivoluzione – le parole sono di Louis Blanc – segnata dall’impronta di Voltaire, vinse facilmente e quasi fu più simile a una festa che a una battaglia; la seconda, nata da Rousseau, avrà soltanto una maestà funesta e finirà con una catastrofe”.
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Peraltro, la doppia anima della Rivoluzione francese era stata già percepita – e con la massima chiarezza – da Benjamin Constant. Egli sottolineò con grande vigore il fatto che la “frenesia del 1794”, allontanando gli uomini dai “Lumi del 1789”, aveva deviato la Rivoluzione dai binari liberali e l’aveva spinta verso “la falsa e pericolosa teoria di Rousseau che dichiarava illimitata l’autorità sociale”. Non diversa la tesi sviluppata da Marx ed Engels nella “Sacra famiglia”, nella quale si legge: “Robespierre, Saint-Just e il loro partito sono caduti perché hanno scambiato la comunità antica, realisticamente democratica, che poggiava sul fondamento della schiavitù reale, con lo Stato moderno rappresentativo, spiritualmente democratico, che poggia sulla schiavitù emancipata, sulla società civile. Che colossale illusione essere costretti a riconoscere e sanzionare nei diritti dell’uomo la società civile moderna, la società dell’industria, della concorrenza generale, degli interessi privati perseguenti liberamente i loro fini, dell’anarchia, dell’individualità naturale e spirituale alienata da se stessa, e voler poi nello stesso tempo annullare nei singoli individui le manifestazioni vitali di questa società, e voler modellare la testa politica di questa società nel modo antico”. Di qui l’ispirazione anti liberale anti capitalistica della dittatura giacobina così sottolineata da Marx ed Engels: mentre la Rivoluzione del 1789 “aveva liberato la società civile dai legami feudali e l’aveva riconosciuta ufficialmente”, il Terrore voleva “sacrificarla a una vita politica antica”.
Non si creda che la doppia anima della Rivoluzione francese sia emersa improvvisamente. Tutto il contrario: le sue radici affondavano nel grande dibattito che, nei decenni precedenti la presa della Bastiglia, aveva lacerato l’intellighenzia francese: il dibattito su Sparta e Atene. Un dibattito di fondamentale importanza per intendere sia le drammatiche contraddizioni della Rivoluzione francese – partita con la proclamazione dei diritti dell’uomo e del cittadino e sfociata nella dittatura terroristica dei giacobini – che le tempeste ideologiche che, per ben due secoli, avrebbero investito l’esistenza storica della civiltà europea. Sparta – in quell’acceso dibattito – simbolizzava l’ideale della società armoniosa concepita come fusione fra l’individuo e la sua comunità di appartenenza, mentre Atene era una metafora per indicare la società borghese, centrata sul mercato e sulla proprietà privata. Sicché indossare “il mantello di Licurgo” significava condannare l’individualismo possessivo-competitivo, generatore di intollerabili diseguaglianze e di laceranti conflitti di classe. E significava altresì auspicare l’instaurazione di un modello di organizzazione sociale antitetico sia all’Antico Regime che al sistema capitalistico. Accadde così che il “partito filosofico” si divise in due: da una parte , gli estimatori di Atene (Montesquieu, Voltaire, Diderot, D’Alambert, Condorcet, eccetera), prima paradigmatica realizzazione storica della “libertà dei moderni”; dall’altra coloro che (Rousseau, Deschamps, Mably, Morelly, eccetera) esaltavano la società spartana per il fatto che in essa non c’era la perversa istituzione – la proprietà privata – responsabile sia dell’iniqua divisione della società in ricchi e poveri che della corruzione morale della natura umana. Ma di tutto ciò non c’è traccia alcuna nel libro di Israel. La cosa è ancor più sorprendente se si tiene presente che, in un precedente studio, Israel aveva sottolineato il fatto che “la purga anti illuministica si intensificò proprio durante il Terrore”. Il che accadde precisamente perché Robespierre e Saint-Just – glorificati da Sylvain Maréchal come “i Licurghi dei Francesi” –, in nome della democrazia totalitaria di Rousseau, avevano dichiarato guerra al “partito ateniese” e alla “libertà dei moderni”.
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