La fisica dei quanti e il suo fascino per i moderni
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Un libro racconta una cena del 1927. Tra Einstein, Bohr, Lorentz, Curie, Compton. Cruciale per la fisica quantistica. Così la materia diventa accessibile a tutti.
La prima conferenza di Solvay 1911LortentzPlank Einstein
di Annalisa Terranova | 24 Ottobre 2016 Lettera43
La teoria della relatività è come un’opera di Mozart o un dipinto di Leonardo: non possiamo che ammirarla, non possiamo che esserne attratti, anche se non la comprendiamo fino in fondo.
A sostenerlo è una studiosa di fisica, Gabriella Greison, che dopo il successo di Dieci brevi lezioni di fisica (Adelphi) di Carlo Rovelli ha pensato di raccontare la fisica quantistica in un romanzo.
Così è nato un libro curioso, divulgativo e scientifico al tempo stesso, come L’incredibile cena dei fisici quantistici (Salani), che muove da un convivio realmente avvenuto, a Bruxelles nel 1927, ai margini del congresso Solvay che riunì gli studiosi dell’atomo più famosi del momento.
UNA SCOPERTA COLLETTIVA. C’erano Albert Einstein, Hendrich Lorentz, Marie Curie, Niels Bohr, Arthur Compton, William Bragg, Max Born, Irvin Langmuir e c’erano il re e la regina del Belgio a fare gli onori di casa.
E lì, tra posate d’argento e squisite sogliole alla crema di carote, si parlò di numeri, di spazio e tempo, di fotoni ed elettroni.
Un libero scambio di idee la cui conclusione è imprevedibile, perché proprio dal dialogo e spesso dallo scontro delle menti più versatili negli Anni 20 nacque effettivimante la fisica quantistica, scoperta collettiva e non individuale che tanto avrebbe trasformato la nostra concezione dell’universo.
I PILASTRI DELLA FISICA QUANTISTICA. La fisica quantistica si basa su due punti basilari: l’esistenza del dualismo onda-corpuscolo sia della materia che della radiazione elettromagnetica e il principio dell’entanglement (la cui individuazione si deve a Ewrin Schrödinger) secondo cui ciò che accade a una particella deviata durante il suo tragitto influisce anche sulla particella lanciata in direzione opposta.
Il fenomeno viola il principio di località, per cui ciò che avviene in un luogo non può influire su ciò che avviene in un altro luogo. Già questi due presupposti hanno modificato irreparabilmente la rassicurante fisica classica deterministica (cioè basata sul rapporto causa-effetto) facendoci entrare nel regno delle ipotesi probabili (non tutto è misurabile, non tutto è per sempre così come lo rappresentiamo qui e adesso).
La fine alla fede assoluta nella precisione dell’esperimento
Il punto di arrivo della fisica quantistica fu l’elaborazione nel 1927, da parte dello scienziato Werner Heisenberg, del principio di indeterminazione: detto in parole molto semplici, consisteva nello spiegare che, se si osserva una particella in movimento, noi possiamo o misurarne la velocità o la posizione e non entrambe.
Le nostre rilevazioni saranno solo “probabili” e non del tutto esatte, il che significava mettere fine alla fede assoluta nella precisione dell’esperimento.
Questa teoria fu il coronamento della fondamentale intuizione di Max Planck secondo cui gli atomi emettono e assorbono radiazioni in modo discontinuo, per quanti di energia.
LA DEMOLIZIONE DELL'IMPIANTO KANTIANO. Oggi si fa fatica, poiché siamo immersi in una visione del mondo non più razionalistica al 100%, a comprendere quale svolta abbiano impresso queste scoperte alla filosofia e all’epistemologia.
L’impianto kantiano veniva demolito e in particolare l’idea che «tutti i fenomeni in generale sono quantità continue».
L’assunto secondo cui lo spazio e il tempo sono un continuum ordinato dalla legge di necessità veniva a cadere con grande disappunto degli stessi fisici che avevano fornito la nuova, rivoluzionaria lettura della materia.
Erano infatti tipi strampalati, pieni di ossessioni, di manie e anche di fobie, e sospettosi tra di loro.
L'INCONTRO TRA EINSTEIN E BOHR. Memorabile nella storia della fisica fu lo scontro tra Einstein e Bohr – che proprio al congresso Solvay di Bruxelles del 1927, quello dell’incredibile cena del romanzo, ebbe luogo – sul principio di indeterminazione, che alla fine prevalse con l’affermarsi delle idee e degli esperimenti della Scuola di Copenaghen, e contro il quale Einstein pronunciò la famosa frase: «Dio non gioca a dadi!».
Einstein, che nel 1927 sfruttava già pienamente la sua fama e la sua notorietà, lanciava frecciatine allo schivo e ossessionato Bohr rimproverandolo di avere avuto l’idea banale di pensare agli elettroni come proiettili.
Ma alla fine fu lo scienziato danese a prevalere grazie alla teoria del giro vorticoso delle particelle (spin) esposta da Wolfgang Pauli.
Uno spumeggiare di scoperte rivoluzionarie
Ora, la bellezza di questo spumeggiare di scoperte, teorie, esperimenti, studi che tutti insieme, come un’onda, spazzavano via i residui della precedente concezione della fisica classica, sta nel fatto che non era del tutto una novità.
Ecco come Heisenberg spiega il “mutamento di prospettiva”: «Per noi il corso regolare nello spazio e nel tempo non è più lo scheletro del mondo, ma piuttosto solo una connessione tra altre che, attraverso il modo in cui noi indaghiamo, attraverso le domande che poniamo alla natura, viene trascelta dalla rete di connessioni che chiamiamo mondo».
L'ILLUSIONE DELLA SCIENZA ESATTA. Il mondo come insieme di connessioni, dunque, sottratto alle rigide leggi deterministiche: una visione che in un libro di straordinaria diffusione, Il Tao della fisica, Fritjof Capra paragonava all’antica sapienza indù e buddista, secondo cui vi è un’unica sorgente di vita di cui noi possiamo leggere o interpretare solo le manifestazioni, o alcune manifestazioni.
Il Tao non è che una valle profonda che ha la possibilità di «contenere un’infinità di cose». Ed ecco che, riavvicinando la scienza occidentale alla saggezza orientale, si torna in qualche modo nell’alveo accogliente di una visione del mondo come “armonia” che finisce con il “normalizzare” le spettacolari scoperte della fisica quantistica che segnò la fine dell’illusione della “scienza esatta”.
UNA NUOVA DIMENSIONE. Entrando in questa nuova dimensione si può scegliere, in definitiva, cosa contemplare: o l’inquietudine angosciante degli elettroni o la danza incessante delle particelle.
O in ultima analisi scegliere di andare a cena con i fisici quantistici.
Per capire qualcosa di più delle loro eversive scoperte.
Twitter @annalterranova