Merito e competizione, i primi segnali di Renzi sull'Università
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Dopo le cattedre Natta, il governo interviene ancora sull’università annunciando lo stanziamento di 271 milioni per la ricerca, da destinare esclusivamente ai dipartimenti più produttivi. Se confermato, il provvedimento servirebbe anche a stimolare la competizione tra i docenti e tra gli atenei
Matteo Renzi durante l'inaugurazione dell'anno accademico al teatro Massimo di Palermo (foto LaPresse)
di Fabio Sabatini | 24 Ottobre 2016 ore 09:51 Foglio
Abbiamo poche informazioni sull’orientamento di Matteo Renzi in materia di ricerca scientifica. L’istituzione delle “cattedre Natta”, primo intervento di rilievo sull’università, è giunto più di due anni e mezzo dopo l’insediamento dell’esecutivo. La lunga attesa è già di per sé un buon segnale della posizione dell’Università nella gerarchia delle priorità governative.
Appena una settimana dopo, il governo ha fatto trapelare indiscrezioni sullo stanziamento di nuove risorse per la ricerca nella legge di stabilità. Secondo quanto anticipato dal Sole 24 Ore e da Repubblica, poi confermato dalla ministra Giannini all’Unità, sarà assegnato un finanziamento straordinario di 271 milioni ai 180-200 dipartimenti universitari con le migliori performance. Ogni dipartimento potrà ottenere fino a 1,3 milioni.
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La distribuzione delle risorse si baserà sui risultati della ricerca scientifica effettuata nel periodo 2011-2014, misurati dalla Valutazione della qualità della ricerca (Vqr) ad opera dell’Agenzia nazionale di valutazione del sistema universitario e della ricerca (Anvur). I fondi potranno essere usati per le chiamate dei professori e per il reclutamento di ricercatori a tempo determinato di tipo B (cioè con un contratto triennale al termine del quale sono automaticamente inquadrati nel ruolo di professori associati). Inoltre, ogni ricercatore potrà ricevere un bonus da 3mila euro da spendere nelle proprie attività di ricerca, sulla base di un indicatore di performance, presumibilmente individuale.
La cautela è obbligatoria, perché di queste anticipazioni finora non c’è traccia nei documenti ufficiali: il comunicato di palazzo Chigi è molto vago e si riferisce solo alla scuola, mentre il Documento programmatico di bilancio (Dpb) sottoposto alla Commissione europea e la Nota di aggiornamento del Def 2016 (cui il Dpb rinvia per maggiori dettagli) contengono solo cenni telegrafici alle cattedre Natta, alla ripartizione della quota premiale del Fondo di finanziamento ordinario (Ffo) dell’università e all’aumento del “turnover” (la regola per cui gli atenei possono sostituire solo una quota dei docenti che vanno in pensione mediante l’assunzione di nuovi ricercatori), ora consentito al 60 per cento a livello nazionale rispetto al 50 per cento dell’anno precedente. Due indizi non fanno una prova, ma in questo caso aiutano forse a tracciare una direzione.
Se le indiscrezioni diffuse finora fossero confermate, si tratterebbe del secondo tentativo in pochi giorni di agganciare il trattamento dei docenti alla valutazione della loro produttività scientifica, ex ante nel caso dei “professori Natta” (che avranno stipendi più elevati) ed ex post per i ricercatori (gratificati con maggiori fondi di ricerca). Inoltre sarebbe rafforzato il principio per cui i dipartimenti “migliori” (secondo la Vqr) ottengono risorse maggiori. Va ricordato che oggi solo il 20 per cento del Ffo è distribuito alle università in base alla loro performance, e spetta poi agli atenei ripartire le risorse “premiali” tra i vari dipartimenti. Il filo conduttore di questi interventi sembra la promozione della competizione tra i docenti e tra gli atenei. Nell’ottica del governo, quanto più il finanziamento dei dipartimenti dipenderà dalla loro performance scientifica, tanto più le commissioni giudicatrici dei concorsi saranno incentivate a reclutare i docenti più promettenti per il successo dei dipartimenti. I ricercatori d’altro canto avranno l’incentivo a intensificare la loro attività, sia per la maggiore probabilità di vedere riconosciuti i propri meriti scientifici ai fini dell’avanzamento di carriera, sia per accedere ai fondi di ricerca premiali.
Si tratta di segnali interessanti, cui sarebbe opportuno dar seguito con una riforma più sistematica del finanziamento della ricerca (ancora in larga parte “a pioggia”) e con l’affinamento della valutazione e del suo uso (ancora molto fallace). La valutazione deve tutelare adeguatamente il pluralismo degli approcci scientifici. Ma soprattutto bisognerebbe dare continuità all’infusione di risorse, senza le quali nessuna riforma si può realizzare appieno.
Fabio Sabatini è docente di Politica economica, La Sapienza