La diatriba sui compiti a casa e la scuola che costringe tutti all’eguaglianza
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Quando gli istituti statali dimenticano che la cultura è ciò che differenzia gli individui, non ciò che li uniforma
La giustificazione per non aver svolto i compiti per le vacanze presentata da un genitore a un professore
di Redazione | 19 Ottobre 2016 ore 18:03 Foglio
La polemica sull’eccessivo ammontare dei compiti a casa non considera un fattore intrinseco della didattica nostrana: l’obbligo o, per metterla giù dura, la costrizione. Una delle idee alla base dell’istruzione in Italia è tradizionalmente stata l’ambizione di ingabbiare l’alunno – in un orario prefissato, in una certa disposizione dei banchi, in un percorso formativo inderogabile – ed entro questa cornice i compiti servono a vincolarlo alla medesima costrizione anche al di fuori delle mura scolastiche. Al contempo, le strategie didattiche di segno opposto a questa tendenza sono state sovente mirate a un ribellismo fine a se stesso, che anziché costringere l’alunno a fare qualcosa lo costringesse a fare il contrario, allo scopo di imporgli dall’altro una creatività obbligatoria. I risultati sono stati grami.
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Se invece la polemica sui compiti a casa avesse avuto una gittata più remota del naso dei genitori, avrebbe trovato maggior risalto l’ottima idea del Liceo Parini di Milano, che da questo mese ha avviato un progetto di flessibilità oraria frutto di un sapiente compromesso.
Fermo restando un orario comune in cui le lezioni vengono svolte nel modo consueto, ritagliando dieci minuti qua e là e aggiungendo una fascia oraria nel primo pomeriggio il Dirigente del Parini ha potuto imbastire un imponente ventaglio di corsi opzionali a classi aperte: in sostanza, per parte della settimana gli alunni possono scegliere fra argomenti monografici di varie materie, calibrati specificamente sul loro anno, tenuti da personale già interno alla scuola ma non vincolati ai docenti afferenti alla sezione cui si è iscritti – ciascun insegnante secondo le proprie capacità, ciascun alunno secondo i propri interessi.
Uno sguardo alla programmazione sul sito del Parini può essere più esauriente di questo riquadro. Conta evidenziare piuttosto come questa responsabilizzazione di studenti e corpo docente presupponga non solo la compresenza di diverse aree di interesse sceverate da una gerarchia preordinata, ma anche l’esistenza di diversi livelli di alunni e, soprattutto, di docenti. Funziona esclusivamente in contesti d’eccellenza, e il suo eccellente funzionamento può essere garantito solo in presenza di risorse umane più qualificate di quel che l’andazzo della scuola pubblica reputi accettabile.
Altro che diatribe sui compiti, al Parini sono andati dritti al punto: quanti ragazzi sono disposti a trasformare astratti furori in impegni concreti? Quanti professori sono capaci di coniugare profondità e curiosità?
Sospendiamo il giudizio e limitiamoci a notare che un simile benemerito progetto non potrà essere applicato su vasta scala fino a che la selezione dei docenti sarà vincolata a criteri altri rispetto alle capacità: servizio, abilitazioni, disutili corsi di formazione. Purtroppo fra i miti affannosamente rincorsi dalla scuola statale c’è la costrizione all’eguaglianza, benché la cultura sia ciò che differenzia gli individui, non ciò che li uniforma.
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