Che fare con gli ulivi pugliesi, si è capito
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che se muoiono non è colpa delle multinazionali
di Giordano Masini | 27 Marzo 2015 ore 16:55 Foglio
Prudenza. Dopo giorni di panico sembra essere questa la parola d’ordine di chi si oppone all’espianto degli ulivi salentini colpiti dalla Xylella, e se fino adesso si gridava al complotto, parlare di prudenza è senz’altro un notevole passo avanti.
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Abbiamo (si spera) assodato che Monsanto non c’entra nulla (“ne sentiamo tanti di ridicoli miti su Monsanto ogni giorno, ma questa è davvero la cosa più ridicola cha abbiamo sentito da anni”, ribadisce in un comunicato l’azienda di St Louis), assodato che non esistono ulivi geneticamente modificati pronti a sostituire quelli pugliesi, e assodato che in questa storia gli Ogm sono entrati solo in ragione delle idiosincrasie di qualche musicista da centro sociale. E abbiamo assodato soprattutto che gli agenti patogeni viaggiano come le merci e le persone (con le merci e le persone) e che quindi non è sorprendente trovare in Puglia un batterio proveniente dall’America centrosettentrionale.
Nonostante questo, anche la richiesta di prudenza, che si traduce in pratica nella pretesa di fermare l’eradicazione degli ulivi in attesa di risposte più certe da parte delle autorità sanitarie circa le origini dell’infezione, potrebbe avere conseguenze molto gravi.
Per il Complesso del Disseccamento Rapido dell’Olivo, che sta affliggendo un’area per ora (fortunatamente) limitata del Salento, abbiamo una rosa di possibili colpevoli: oltre alla Xylella, le analisi hanno rilevato la presenza di alcuni funghi, favorita dalle gallerie che le larve di un tipo di falena praticano nel legno. Funghi, quindi, Xylella o larve di falena? O un mix di cause? Ci troviamo in una situazione in cui è facile confondere e sovrapporre correlazioni e causalità ma è veramente necessario attendere di scoprire se sia nato prima l’uovo o la gallina per agire? E qual è il modo più “prudente” per agire?
Siamo nel campo del cosiddetto risk assessment, la valutazione e gestione del rischio: oggi parliamo di piante, ma chi si trova a gestire emergenze sanitarie ed epidemie affronta problemi simili, e lo fa tutto sommato in modo analogo, individuando contromisure da mettere in atto sulla base delle conoscenze disponibili in quel momento e tenendo, questa è la cosa più importante, un occhio all’orologio. Il tempo, nella diffusione di un contagio, è un fattore determinante.
Tra le cose che oggi sappiamo di questa infezione è che sono state trovate tracce di un batterio, la Xylella fastidiosa, per il quale non esiste medicina, e che potrebbe aver trovato nell’ecosistema pugliese un insetto-vettore capace di trasportarlo rapidamente. Ci sono quindi forti probabilità che in Puglia si stia diffondendo un’infezione che potrebbe, come un incendio, devastare l’intero patrimonio olivicolo italiano. Probabilità, è vero. Non certezze. Ma la prudenza, proprio quella prudenza evocata da chi si oppone agli abbattimenti, suggerisce che debbano essere tenute in seria considerazione anche le conseguenze (e le responsabilità) del mancato agire.
Chi oggi ha presentato un ricorso d’urgenza al Tar (poteva mancare il ricorso al Tar?) per chiedere la sospensione degli abbattimenti non ha pensato all’eventualità che, in attesa di tutti i chiarimenti del caso, l’infezione possa arrivare a interessare un territorio più ampio, tanto più ampio da richiedere interventi più drastici, abbattimenti più estesi, trattamenti con pesticidi più intensi e più diffusi.
E allo stesso rischio, proprio perché non sono chiamati a gestire il rischio e ad assumersi la responsabilità di una sua corretta gestione, non devono aver pensato gli artisti che oggi si fanno fotografare con l’hashtag #DifendiamoGliUlivi, in difesa del suggestivo paesaggio nel quale sono soliti trascorrere le vacanze. Ma alla fine, quando anche il Tar avrà detto la sua - i tempi della giustizia sono decisamente incompatibili con i tempi necessari per affrontare un’emergenza sanitaria - potremmo trovarci di fronte a una situazione ben peggiore.
A quel punto dovremmo spiegare (e spiegarci) per quale ragione non siamo intervenuti in tempo quando avevamo la possibilità di farlo. Dire che prima dovevamo convincere Sabina Guzzanti, Al Bano e i loro amici non sarebbe, temiamo, una risposta soddisfacente.