Nibali si appende all’ammiraglia dopo la caduta: espulso dalla Vuelta
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Cacciato, con tanto di infamia. Vincenzo Nibali torna a casa da una Vuelta che voleva vincere e lo fa nel modo peggiore, per squalifica.
La decisione della giuria di corsa arriva nella serata di ieri: "E' stato trainato, le immagini sono evidenti, le avete viste pure voi". A nulla è valsa la richiesta della squadra di applicare la sanzione massima, dieci minuti di penalizzazione, di utilizzare il buonsenso, di considerare le dinamiche di gara e le attenuanti di una carriera esemplare. I giudici di gara sono stati inflessibili, il siciliano ha tratto beneficio dal traino dell'ammiraglia e se ne deve tornare a casa. Come il peggiore baro.
Seconda tappa della corsa a tappe spagnola, primo arrivo in salita. A una ventina di chilometri dall'arrivo una caduta fraziona il gruppo. Davanti rimangono una ventina di corridori, tra questi tutti gli spagnoli favoriti per la vittoria finale. Dietro rimangono in tanti, tra questi Nibali. Nessun danno fisico evidente, ma bicicletta distrutta. Lo Squalo aspetta l'ammiraglia, rimane quasi un minuto fermo, è nervoso, rivede in Spagna la seconda tappa del Tour, l'inseguimento vano al gruppo dei migliori. Quando riparte il distacco è di un minuto e venti, alcuni suoi compagni lo raggiungono, si impegnano per rimontare, ma davanti i compagni di squadra di Alejandro Valverde e Joaquim Rodriguez vanno spediti come è giusto che sia, perché in corsa la sfortuna è contemplata e non si deve attendere nessuno.
I compagni di Nibali esauriscono le forze uno dopo l'altro, il siciliano rimane solo, si avvicina all'ammiraglia, chiede una borraccia e sfrutta l'accelerazione dell'auto per 150 metri. Il traino è vietato per regolamento e chi lo sfrutta viene punito: a una sanzione economica si aggiunge un penalizzazione che può andare da 2 a 10 minuti, l'ammenda massima è la squalifica.
Se è indiscutibile l'errore è la sanzione a stupire, a risultare sproporzionata. Nibali ha compiuto una sciocchezza è evidente, ha usato un mezzuccio per rientrare, era doveroso penalizzarlo, ma assurdo mandarlo a casa. Molti degli atleti che erano attardati infatti sono riusciti a rientrare prima della salita finale, sarebbe con ogni probabilità rientrato anche il siciliano anche senza l'aiuto dell'ammiraglia. Non solo, l'esclusione da una corsa viene solitamente presa in presenza di prolungato traino, quando un corridore si aggrappa alla macchina e si lascia trascinare: non è il caso dello Squalo che ha sfruttato un aiuto evidente, ma non prolungato, una spinta a motore che andava sanzionata, ma che non giustifica un'espulsione.
Oltre il regolamento, che però prevede che siano i giudici a prendere la decisione definitiva, a colpire è la mancanza di buonsenso della giuria di gara che non hanno preso in considerazione né l'andamento della tappa – la caduta, il problema della gestione delle ammiraglie in corsa, l'assenza delle moto portaacqua dietro al gruppo principale – né il 2015 del siciliano. Nibali dopo il Tour de France dell'anno scorso è stato coinvolto suo malgrado nel caos Astana: le squalifiche per doping di tre suoi compagni, la licenza per correre in forse sino a marzo, un Tour sfortunato passato a inseguire avversari e condizione tra forature, cadute e confusione in ammiraglia. Una situazione che non può valere come scusante o giustificazione, ma che andava quanto meno presa in considerazione al momento del giudizio. Perché punire chi sbaglia è doveroso, infierire è stupido e di cattivo gusto. E soprattutto immeritato. Nibali ha sbagliato, anche grossolanamente, ma la punizione infertagli dalla Vuelta è spropositata. Non è un bandito, non lo è mai stato, e trattarlo come tale è immotivato
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