Bonucci critica Allegri, spiega l'addio alla Juventus e il sogno per il futuro
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Leonardo Bonucci non ci sta e rincara la dose ai microfoni del podcast di Gianluca Gazzoli:
Storia di Giovanni Benvenuto • 16 msn,com lettura5
l'ex difensore della Juventus ripercorre alcune tappe della sua esperienza in bianconero, oltre a delineare le sue intenzioni future e narrare anche l'esperienza tedesca con l'Union Berlino. Bonucci è passato dal BSMT e si è tolto qualche sassolino dalla scarpa parlando in maniera molto dura di Massimiliano Allegri oltre a ricordare le avventure con i veterani Buffon, Barzagli, e Chiellini nello spogliatoio dell'Allianz Stadium.
Sull'addio al calcio: "Era una decisione presa da diverso tempo. Volevo farlo intorno ai 37 anni e sapendo che c'era l'Europeo avevo programmato che sarebbe stata l'ultima stagione. Non pensavo che sarebbe stata così, il mio sogno era di chiudere la carriera con la maglia della Juventus. Non ho ricevuto il saluto che meritavo per quello che ho dato alla Juventus, ho anteposto il club a mia moglie, i miei figli e anche al mio benessere".
Sull'addio alla Juventus: "Questa ferita rimarrà perché quando dai tanto ti aspetti anche tanto. Chiudere in questa maniera è stato un colpo che mai mi sarei aspettato, che mi ha fatto male. Ancora oggi parlarne mi dà un po' di dispiacere. Vedo giocatori che hanno fatto meno di me ricevere il giusto tributo. Io invece me ne sono dovuto andare quasi scappando perché qualcuno aveva deciso che doveva andare così. E' stata una manifestazione di potere di un singolo che non meritavo, se fossero stati chiari avrei accettato di andare. Poi appena arrivato non aveva modo di fare diversamente, mi ha detto che non sarei più stato nei piani del club. All'inizio mi sembrava uno scherzo, dopo più di 500 partite ricevere il ben servito in questa maniera... Invece era tutto reale. Mi allenavo alle 19:30 quando la squadra si allenava al mattino. Non so ancora oggi darmi una spiegazione, o meglio so che è stato un gioco di potere. Mi avrebbe fatto piacere se si fosse conclusa in maniere diversa. Però l'ultimo anno mi ha fatto pensare in maniera diversa: forse il mio percorso alla Juve non è ancora terminato. Quando penso a voler fare l'allenatore, penso a quella panchina lì. Mi piace pensare che questa storia non sia finita. E' stata dura da digerire e la rabbia che avevo dentro mi ha fatto fare scelte sbagliate perché avevo la forza di un contratto firmato per andare contro la Juve, ma alla fine non era la Juve il problema di tutto. Se avessi proseguito la battaglia legale avrei vinto, perché era mobbing. La rabbia era per chi mi aveva messo fuori rosa, non per la Juve. Poi nei mesi successivi ho parlato con Giuntoli, che era d'accordo con me e mi ha detto che si poteva gestire diversamente. Juve A contro Juve B poteva essere l'occasione giusta per salutare, eravamo tutti felici. L'ultimo rapporto che ho avuto lui (Allegri, ndr) è stata dopo la partita di Udine, anche al centro sportivo non c'è mai stato un confronto in un mese e mezzo, come se fossi per lui un estraneo. Un confronto sarebbe stato il minimo".
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Sullo sgabello di Oporto e su Allegri: "Passa come una sorta di vendetta dopo la famosa scena dello sgabello di Oporto, che poi è stato costruito ad hoc perché lo sgabello l'avevo preso io. In realtà già nel 2017 dovevo essere messo fuori rosa per quell'episodio. La società aveva mediato trovando l'accordo per mettermi fuori contro il Porto e siccome da fuori vivo la partita come se fossi in campo, avevo preso dalla suite uno sgabello per non stare tra le persone in tribuna, non me l'aveva dato la Juventus. Comunque nel 2017 l'episodio fu grave, ma sono situazioni che succedono sempre. Io avevo discusso anche Conte in spogliatoio. Perché sono momenti in cui c'è tanta tensione. La discussione era nata perché io urlavo dal campo di sostituire Claudio Marchisio perché rientrava da un infortunio al ginocchio ed era stanco. Lui cambiò Rincon con Sturato e io urlai 'ma devi cambiare Claudio perché è morto e giochiamo tra tre giorni'. Io poi non so se dal campo abbia capito qualcosa di diverso".
Sulla finale persa a Cardiff contro il Real di Zidane: "Era uscito che io avevo litigato con tutti tra il primo e il secondo tempo di Cardiff, ma non era assolutamente vero. Ho solo detto a Paulo di giocare libero perché era intimorito di prendere il secondo giallo. Sono usciti articoli in cui venivo fuori come la pecora nera del gruppo. Ho chiamato la società chiedendo se non fosse il caso di intervenire, mi dissero che non era il caso. Un patrimonio della società che viene attaccato e per voi non c'è bisogno? Questo mi mandò su tutte le furie e si incrinò il rapporto definitivamente".
Sul trasferimento al Milan: "Quando sono andato al Milan l'ho fatto perché non volevo essere un problema all'interno dello spogliatoio. Ho preso quella strada per non fare del male alla Juve per tutto quello che era successo negli ultimi sei mesi della stagione precedenti. Sapevo di dover andare via perché sarei stato deleterio per le squadra, mi conosco. E' stata una scelta condivisa con allenatore e direttore, che mi hanno venduto a poco per il valore di quel momento. [...] L'esultanza allo Stadium? Io ho sempre detto che non capisco chi non esulta contro la sua ex squadra: se sei stato venduto è perché la società ha deciso, non rispetti i tifosi della tua squadra e avevo ricevuto solo fischi e insulti da tutto lo stadio. Non è mai stata una mancanza di rispetto".
Sui tifosi della Roma: "I tifosi giallorossi dicevano che uno juventino con la maglia della Roma non si può vedere: io sono e sarò sempre juventino, ma quando scendo in campo con una squadra gioco per la maglia che indosso".
Sull'obiettivo futuro: "Il mio pensiero è quello di fare l'allenatore. Ho fatto la carriera che sognavo, ho vinto tantissimo con la Juventus e ho vinto un trofeo storico con la Nazionale. Non mi sono mai nascosto dietro una maschera, non ho mai nascosto di essere juventino e di amare così tanto la Juve, anche a costo di rimetterci personalmente. Poi quando sei così, sei nell'occhio del ciclone quando le cose non vanno. Ho avuto la fortuna di lavorare con tanti allenatori, a Conte sono grato perché ha inventato la BBC, sono migliorato tantissimo grazie lui ed è un modello, anche se nel 2014 ce ne siamo dette di tutti i colori e poi il giorno dopo ci siamo abbracciati come se fossimo amici da una vita. Poi Mancini per l'Europeo, Lippi quando mi ha convocato in Nazionale all'inizio. Poi mi piace ricordare Rino Gattuso che per me è come un fratello ed è stato importante averlo per l'uomo che è".
Sull'Union Berlino: "Union Berlino? Pensavo di trovare un organizzazione di un certo tipo. La serenità che ti dava la Juventus lì non esisteva: mi sono dovuto muovere da solo per trovare casa e noleggiare la macchina. La cosa mi ha sorpreso, ma devi saperti adattare".
Su Buffon, Barzagli, Chiellini: "Ognuno di noi si divideva il lavoro in spogliatoio: quando serviva alzare la voce ero io l'addetto, poi c'era il momento in cui Buffon prendeva da parte un giocatore per farlo ragionare in maniera tranquilla, Chiellini sempre più riflessivo e Barzagli era l'addetto al gruppo dei sudamericani, faceva l'ambasciatore. Nel tavolo dove mangiavamo c'erano gli italiani in un angolo e lui sedeva con loro per gestire i rapporti".
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