1. TRENT’ANNI FA, SUL CIRCUITO DEL NURBURGRING, NIKI LAUDA EBBE L’INCIDENTE
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GLI CAMBIO’ LA VITA: L’AUTO SBANDO' IN CURVA, PRESE FUOCO E LUI FU SFIGURATO DALLE FIAMME
Marco Mensurati per “la Repubblica, Dagospia 30.7.2016
2. IL RICORDO DI ARTURIO MERZARIO, IL PILOTA CHE GLI SALVO’ LA VITA: “CON GLI ESTINTORI MI APRIRONO UN VARCO TRA LE FIAMME, NIKI CERCA DI USCIRE MA FORZA LA CINTURA E IO NON RIESCO A SBLOCCARE LA LEVETTA, POI CROLLA, PERDE I SENSI, LO TIRO FUORI. LE ESALAZIONI DI MAGNESIO LO STAVANO AMMAZZANDO. GLI FECI IL MASSAGGIO CARDIACO E RIMASE IN VITA COSÌ”
3. “TRE SETTIMANE DOPO IL ROGO, NIKI VENNE A MONZA. NON MI DISSE NÉ "CIAO", NÉ "GRAZIE", NÉ "VAFFANCULO". CI RIMASI MALE E LO DISSI. DUE MESI DOPO IN AUSTRIA VENNE A TROVARMI E FECE IL GESTO DI TOGLIERSI IL ROLEX PER REGALARMELO. LO PRESI E LO LANCIAI VIA. I MECCANICI LO RACCOLSERO E MI FECERO UN SACCO DI PATERNALI MA C'ERO RIMASTO MALE”
1 - LAUDA E I MISTERI DEL NURBURGRING "NON SO PERCHÉ MI FERMAI AD AIUTARLO"
Del rogo del Nurburgring si sa ormai quasi tutto: sui fatti di quel 1 agosto 1976 sono stati scritti libri, realizzati documentari, inchieste; Ron Howard ha persino girato un film, Rush, un fumettone un po' controverso ma tutto sommato fedele ai fatti.
E tuttavia, quarant' anni dopo, un mistero, un piccolo mistero, ancora c' è. E si agita da allora nella testa di uno dei protagonisti, Arturio Merzario, il pilota che quel giorno seguiva Lauda sul tracciato tedesco e che per primo arrivò sul luogo dell' incidente. È lui stesso a parlarne: «Ancora non ho capito che cosa mi spinse, quel giorno, a fermare la macchina. Voglio dire: non era il primo incidente drammatico che mi capitava di vedere in pista, e tutte le altre volte mi sono comportato in maniera diversa, ho continuato la mia corsa, come del resto facevano e fanno tutt' oggi i piloti. Quel giorno, però, ci fu qualcosa, e ancora non ho capito cosa, che mi suggerì, anzi mi impose di fare altro, di fermarmi, di scendere dalla macchina e correre verso Niki».
incidente a niki lauda
Cosa? «Domanda da un milione di dollari. È stato un baleno, un lampo. Non pensai a nulla, sopraggiunsi all' uscita della curva e trovai quella roba lì, lamiere e fiamme. Dentro poteva esserci chiunque, Niki, Clay Regazzoni, Jackie Stewart. Vedo la macchina in mezzo alla pista, scendo e corro verso l' abitacolo. Dopo di me si fermano Guy Edwards, il cui figlio ha fatto la controfigura del papà in Rush ed è morto in un incidente stradale tre anni fa, e Harald Ertl: con gli estintori mi aprono un varco in questo enorme falò, Niki cerca di uscire ma forza la cintura e io non riesco a sbloccare la levetta, poi crolla, perde i sensi, così apro, lo tiro fuori. Le esalazioni di magnesio lo stavano ammazzando.
«Per fortuna, nel '65, per guadagnarmi 7 giorni di licenza da militare, feci un corso di primo soccorso: gli feci il massaggio cardiaco e la respirazione artificiale. Rimase in vita così, finché non arrivarono i soccorsi». Il resto della storia la racconta Luca Montezemolo, allora giovane ds della Ferrari: «Il medico mi disse: "Noi non possiamo fare nulla: il problema non sono le bruciature ma le esalazioni, i gas che ha respirato che l'hanno bruciato dentro. Se vuole vivere, deve farlo lui. Deve cercare di restare sveglio e lottare".
Mentre il medico diceva così, Niki, lo raccontò lui stesso in seguito, era cosciente e sentiva tutto. Fu allora che cominciò la sua lotta personale per sopravvivere e tornare in pista. «Dopo andai a trovarlo a casa. Era molto dimagrito. Lì per lì non pensammo che ce l'avrebbe fatta a tornare, così ingaggiammo Reutmann. Invece Niki tornò. E fummo costretti a far correre tre macchine. Ricordo ancora oggi le macchie di sangue che si allargavano piano piano nel sottocasco bianco, prima del via a Monza...».
A dire il vero, un altro piccolo mistero, in questa vicenda di quarant' anni fa, c'è. Ed è legato a un Rolex. «Tre settimane dopo il rogo, Niki venne a Monza - racconta ancora Merzario - Ma non mi disse niente, né "ciao", né "grazie", né "vaffanculo". Ci rimasi male e lo dissi. Due mesi dopo stavo gareggiando in Austria, vicino a casa sua. Venne a trovarmi e fece il gesto di togliersi l' orologio per regalarmelo. Io lo presi e lo lanciai via. I meccanici dell' Alfa lo raccolsero, vennero da me e mi fecero un sacco di paternali, forse avevo sbagliato, ma io c' ero rimasto male. Per fortuna poi con Niki siamo rimasti molto amici, ci sentiamo spesso ». E l' orologio? Alla fine chi l' ha preso? «Abbiamo promesso di non rivelarlo».
2 - LAUDA: "UN MIRACOLO, MA NON HO MAI RINGRAZIATO MERZARIO"
Stefano Zaino per “la Repubblica”
Lauda, cosa ricorda dello schianto?
«Niente».
Come niente, è stato tra la vita e la morte.
«Dimenticato tutto dopo 42 giorni, quando sono tornato a correre. Cancellata ogni cosa dalla mia mente. Come se non fosse mai successo».
Si spieghi...
«Più l' incidente è terribile, più un pilota deve sforzarsi di eliminare ogni immagine, ogni sensazione. Se ricordi, entri in macchina e tremi e non puoi permettertelo. In quel caso è meglio smettere, ritirarsi».
Invece continuò, perse tre gare, sfiorò il Mondiale e lo vinse l' anno dopo.
«Avevo fiducia in me, sapevo di essere bravo a guidare, non potevo aver disimparato. Mi dicevo: se vai in macchina per strada, puoi anche tornare in pista. Se corri con la Ferrari a Fiorano, perché non potresti farlo in qualsiasi circuito?».
Così sei settimane dopo si presentò a Monza. Ritorno fulmineo e coraggioso, tutti le diedero del pazzo.
«Mi sentivo al meglio, solo che i medici non erano d' accordo. Mi convocarono, mi fecero un sacco di test, mi dissero di non fare il furbo, davano l' impressione di non fidarsi. Mi misero addosso una pressione enorme, ero confuso, e questo mi fece commettere l'errore più grave della mia vita».
Cioè?
«Non dissi mai grazie a Merzario per avermi salvato la vita, non andai mai da lui a stringergli la mano di persona, ad abbracciarlo. E' una cosa di cui mi pento ancora adesso, una ferita che brucia, più delle cicatrici che ho. Sbaglio imperdonabile, a cui, a distanza di anni, spero di porre rimedio».
Di essersi fermato al Fuji, lasciando il mondiale ad Hunt, invece si è mai pentito?
«No. Lo rifarei anche adesso. E non c' entra niente con il mio incidente al Nurburgring. Non si poteva correre, troppa pioggia. Dopo tanti rinvii il direttore di corsa, alle 5 del pomeriggio, decide: tutti in macchina, si corre. Io, furioso, vado a chiedere e mi risponde: esigenze televisive, è la prima volta che siamo in mondovisione. Gli dico che è matto e che non sarà una telecamera a decidere della mia vita. Mi sono fermato, e lo avrei fatto comunque: anche se non mi fossi schiantato al Nurburgring. Non si gioca con le persone».
Le costò un Mondiale.
«No, ho perso perché dopo il Nurburgring ho saltato tre gare».
Avesse corso oggi?
«Magari fossi un pilota oggi. Avrei ancora il mio orecchio e guadagnerei molti più soldi. Sono salvo per miracolo».
La Fia vuole imporre l'Halo a tutti i piloti, per sicurezza.
«Imporre è sbagliato, ma ridurre i rischi è una buona causa. Salva la vita e non toglie nulla allo spettacolo».
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