Ecco il libro per smontare chi fa sarcasmo su chiesa e cristianesimo
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Un attacco alla sbruffoneria degli atei che si sentono snobisticamente superiori. E’ stato scritto 240 anni fa
di Antonio Gurrado | 13 Marzo 2016 ore 06:18 Foglio
Se siete stanchi della presunzione dei sedicenti laici, sappiate che le edizioni dehoniane EDB hanno appena stampato il libriccino definitivo contro i vanagloriosi che la trinciano da gran sultani rimproverando limitatezza intellettuale a una chiesa più antica e più saggia di loro, contro i brillantoni da social network che strappano risate acide con mirati paralogismi, contro i sacrileghi insinuatori di colpe generalizzate che spacciano la blasfemia per intelligenza. Finalmente un pamphlet in cui vengono sbertucciati coloro che “con grande impegno e molto sarcasmo si fanno una scorta di battute umoristiche” per esercitare il disprezzo della fede e proclamare la propria superiorità cerebrale a un mondo che altrimenti li ignorerebbe; finalmente lo smascheramento di individui che “parlano in modo scortese e irriverente” per celare di essere “così ottusi da non darci altro che noiose ripetizioni e meschini, volgari luoghi comuni, così triti, così logori, così banali”. Di costoro viene denunciata “la rozza, evidente, inescusabile ignoranza degli stessi principii fondamentali della religione”, curiosa a trovarsi “in persone che attribuiscono tanto valore alla propria cultura” ma che in realtà “imparano meccanicamente una serie di buffonate che possono essere usate in tutte le occasioni”, “hanno un assortimento fisso di sarcasmi e riescono a essere estremamente spiritosi servendosi sempre degli stessi pretesti” per colpire il cristianesimo. Questi sarcastici che si ritengono eccezionali e illuminati dovrebbero apprendere che “chiunque è capace di immaginare un berretto da buffone sulla testa dell’uomo più saggio, per poi ridere della propria stessa trovata”.
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Utilissimo oggi e domani, inevitabilmente un libro così virulento e sfacciato non poteva essere stato scritto ai nostri tempi mosci: la “Predica sul dormire in chiesa” di Jonathan Swift è un gioiellino del 1776, che mantiene molto più di quanto il titolo prometta. Intende mettere a disagio l’uditorio (è un sublime metatesto: una predica rivolta a gente che si sta addormentando, in cui si parla di gente che si addormenta ascoltando una predica) rinfacciandogli che “il rifiuto della predicazione è una delle principali cause della grave decadenza religiosa esistente”. L’argomentazione è condotta su tre piani non comprensibili a tutti i lettori.
A livello base è solo un appello ai dormiglioni, un’esortazione a svegliarsi per non essere confusi coi “cristiani tiepidi”, quelli che secondo l’Apocalisse nel giorno del giudizio verranno vomitati dalla bocca di Dio. Se lo si legge obliquamente diventa una nemmanco velata critica agli ecclesiastici, tipicamente caratterizzati da voce e dizione sgradevoli, espressioni piatte, stile monotono, ragionamenti scorretti e assurdi, argomenti pesanti, banali e insipidi quando non meschini e ridicoli; già all’epoca, ci rivela Swift, c’erano i preti filosofi che abusavano del pulpito per lanciarsi “in congetture incomprensibili, in concetti vuoti e in voli astratti”. Infine c’è il livello esoterico, l’attacco alla sbruffoneria degli atei che disinnesca sia lo snobismo di chi ritiene di avere sempre ragione – ma non considera la necessità e la difficoltà di calibrare un sermone adatto a tutti, anche ai semplici – sia la superiorità intellettuale di cui oggi gli esempi sovrabbondano: così che, quando su Twitter o Facebook qualcuno aggredirà il cristianesimo per sentirsi istruito e moderno, potrete rispondergli che è già stato confutato duecentoquarant’anni fa.
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