Il titolo sul Giubileo che non si può fare
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Forse è solo la malinconica osservazione di un giorno, ma se a San Pietro fossero stati in 300 mila avremmo titolato volentieri che la paura ha perso. Cos’è il restringimento di vitalità numerica della nostra libertà. Parliamone
Piazza San Pietro durante la celebrazione dell'apertura della Porta Santa (foto LaPresse)
di Giuliano Ferrara | 08 Dicembre 2015 ore 19:26 Foglio
Quanti eravamo all’apertura della Porta santa? Qui da noi la contabilità della folla in piazza ha sempre fatto sorridere, in particolare ma non solo per la conta dei girotondi e dei concerti del Primo maggio e delle adunate ex articolo 18, siamo gente saggia. I dati della questura, i dati delle organizzazioni e quelli della realtà si sono sempre rincorsi e confusi teneramente e vanamente, almeno per il nostro occhio di lince. Perfino i due milioni della République con tutti i capi di stato e di governo alla testa del corteo, visto come prevedibilmente sarebbero andate poi le cose, con la fatale “se la sono andata a cercare”, non ci hanno impressionato. Qualche giorno fa, sull’onda delle stragi islamiche tra la folla di Parigi, un appuntamento con l’Angelus era rado di fedeli, e si può capire. Ora con il Giubileo straordinario della misericordia ciò che conta è l’immagine bellissima dei due papi, la parola del Papa sul perdono che ha il primato sul giudizio, la bellezza consueta dei paramenti e dell’apparato liturgico, il sentimento di una esperienza diffusa di fede e di attaccamento alla chiesa di Cristo. E ha fatto bene il decano dei vaticanisti, Luigi Accattoli, a mettere le mani avanti con onestà di dati e ragionamenti.
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Eravamo né pochi né molti, ha scritto a caldo. Le cerimonie sono concepite come diffuse territorialmente, per diocesi. Si è addirittura cominciato parecchio fuori porta, a Bangui con l’apertura della prima delle porte sante. Il tratto è quello della sobrietà invocata e perorata dalla Santa Sede. Certo, scrive Accattoli, la folla in San Pietro era imparagonabile con uno qualsiasi, se possa dirsi qualsiasi, dei recenti grandi eventi mediatico-ecclesiali, dalla morte di Giovanni Paolo II alla sua canonizzazione, comprese le santificazioni di Padre Pio e di Escrivá de Balaguer, il fondatore dell’Opus Dei. Ma la chiesa, aggiunge, si rifarà con la imminente canonizzazione di Madre Teresa di Calcutta, il 4 settembre, e prima ancora con le solennità della Pasqua. Argomenti pacati e saggi, auspici, buona fede e buon temperamento. I giornali e le tv avevano puntato su centomila persone, poi era stata ridotta a settantamila la previsione, infine si registrerebbero cinquantamila persone tra le colonne di Gian Lorenzo Bernini e sotto il Cupolone di Michelangelo. Non erano i soliti due, trecentomila fedeli? Pazienza.
Speriamo che il decano abbia ragione. Eppoi per le persone bennate niente si giustifica con il numero, o quasi. Eppure qualche dubbio va registrato. Non riguarda Bergoglio: il suo può essere considerato un papato controverso, il che accade raramente eppure accade, ma è certamente un papato popolare, amato, di cui il cuore della chiesa sentiva il bisogno, e a cui molti laici desiderosi di pietà o devozione, in certi casi anche a basso costo, low cost, si piegano reverenti per la prima volta. Non riguarda il bisogno di misericordia, mai così ben ripartito in un mondo di pellegrini e peccatori umani troppo umani. Riguarda altro.
Forse non accadrà, ma c’è il sospetto che il continuo appello a non restare a casa, perfino dal palco della Scala dove non ci sono nemmeno posti in piedi: e l’appello più serio a una chiesa in uscita, in missione, che ridiventa per sua natura povera e callejera, ecco, il sospetto che tutto questo possa confrontarsi con il malessere o con la paura che tutti vorremmo, chi con un di più e chi con un di meno di retorica abusiva, esorcizzare. Ha riaperto la terrasse de La Bière, a Parigi. Si giocheranno altre partite in stadi pieni e rutilanti di colori. Concerti e balli non sono destinati a esaurirsi. E per fortuna. Ma una giornata un po’ grigia, piena di controlli e di affabulazione sui controlli, in una specie di universalizzazione del posto di blocco, il tornello del nostro secolo, ispira qualche sentimento di malinconia. Difenderemo il nostro famoso stile di vita, ce la faremo, ripartiremo, d’accordo, ma intanto in qualche occasione, con la no-fly zone sui cieli liberi di Roma, con la famosa “blindatura” che cambia la scena, nasce l’ipotesi, che speriamo venga smentita con il tempo, di un restringimento del bacino di traffico e di vitalità numerica della nostra libertà e della nostra partecipazione alla vita pubblica. Forse è solo una malinconica osservazione di un giorno, sebbene sia il giorno topico del Giubileo, qualcosa che non avviene a ogni momento, ma se a San Pietro fossero stati in trecentomila avremmo titolato volentieri che la paura ha perso. E’ un titolo che non possiamo fare.
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