Il Francis effect funziona nella chiesa dell’establishment, meno tra i cattolici “in subbuglio”
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Il Papa ha trovato semplicemente la chiesa americana, nella sua versione à la page e liberal
di Mattia Ferraresi | 25 Settembre 2015 ore 09:27
Washington. L’America entusiasta e blindata ha trovato il figlio di una famiglia di migranti, l’eroe accessibile che si presenta alla Casa Bianca sulla 500 e ha una carezza e un selfie per tutti. Ma Francesco cos’ha trovato in America? Una chiesa in “subbuglio”, dice il New York Times, che alla vigilia ha fatto una grande ricognizione, ancorché animata da una tesi precostituita, fra le linee di frattura di una chiesa divisa fra conservatori e progressisti, nord e sud, bianchi e ispanici, attivisti catto-lgbt e guerrieri culturali, entusiasti novatori che lavorano al grande compromesso con la secolarizzazione e strenui difensori della dottrina bastonati dalla realtà. E’ stata quest’ultima chiesa, quella dei Chaput, dei Cordileone, dei Burke e dei DiNardo, che il Papa ha fraternamente rimproverato nell’incontro con i vescovi nella cattedrale di St. Matthew, con monito chiaro per le orecchie che vogliono intendere: “Guai a noi se facciamo della croce un vessillo di battaglie mondane”. Michael Sean Winters, osservatore raffinato e musicista d’accompagnamento della sinfonia bergogliana, aveva predetto che sarebbe stato quello il discorso più importante, e nell’amorevole buffetto papale vuole vederci niente meno che una rivoluzione: “Siate pastori, non culture warriors”, scrive, decrittando ed esplicitando quello che il linguaggio della chiesa sibila soltanto fra le righe. Non c’è dubbio che il vento soffi dalla sua parte.
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Per lui e per tanti come lui è la fine trionfale della chiesa militante americana, ripiegata su battaglie etiche coraggiosamente intraprese e rovinosamente perdute. Letti oggi con occhio politico, i discorsi di Benedetto XVI agli Stati Uniti sono appunti per un’agenda fallimentare, dalla vita alla famiglia e la secolarizzazione galoppante in ogni angolo della vita e della società. Questa chiesa che abbraccia e lenisce, stando alla larga dalle manifestazioni di piazza e da battaglie che vanno tutte nel verso sbagliato, è rimpiazzata dal “Francis effect”, fenomeno palpabile sui giornali dell’establishment sovreccitato, già meno dalle parti del gregge. Pure al New York Times, che vaglia tutto lo scibile con i big data ma all’effetto Francesco crede per fede, tocca concedere infine che i numeri non sono da capogiro: sotto il pontificato di Francesco il 13 per cento dei cattolici americani va a messa più spesso, ma il 12 per cento ci va meno. Per il 74 per cento non è cambiato nulla. Pari e patta. Il conservatore moderato Ross Douthat, che sul New York Times scrive in partibus infidelium, nota che non esiste Vicario al mondo che possa riempire di colpo le chiese dell’occidente stanco: “I pontefici non hanno quel tipo di potere, punto”. Eppure il mondo sembra desiderare ardentemente che Francesco quel potere ce l’abbia, e pare che basti lavorare con la lima qualche spigolo acuto della dottrina per ottenerlo.
Chiesa in subbuglio? Forse quella che Francesco ha trovato in America è, più semplicemente, la chiesa americana, nella sua versione accomodante e à la page, kennediana, fondamentalmente liberal, punteggiata di celebrity e con gli occhiali a goccia tipo Joe Biden, quella per cui fede e politica sono rette parallele che s’incontrano tutt’al più in cielo. Quella che rifugge privatamente l’aborto ma lo vota orgogliosamente al Congresso, roba buona per la “strong catholic” Nancy Pelosi (definizione sempre del Times). Una lucida indicazione sullo stato della religione americana trovata da Francesco l’ha data, a sorpresa, John Kerry, rispondendo in modo non ovvio a una bella domanda di Massimo Franco sulla nazione post-cristiana: “Gli Stati Uniti rimangono una delle società più religiose del mondo, e il loro paesaggio religioso continua ad essere in movimento. Gli Stati Uniti stanno diventando più pluralisti da questo punto di vista, così come appaiono più compositi sul piano delle razze e delle etnie. Gli studiosi hanno anche notato un cambiamento nel numero di americani che non si riconoscono in maniera formale con una particolare comunità religiosa, o che si identificano con fedi non cristiane. C’è una grande potenza in questa diversità, e il pluralismo religioso dell’America è una fonte della sua forza”.
Sembra uscita direttamente dalla bocca di John Courtney Murray, il gesuita che ha costruito la teologia democratica di Camelot, teorico del supermercato delle visioni religiose come luogo mistico e civile dell’abbraccio fra l’identità cattolica e quella americana. Concetti che uno come Kerry, gentiluomo democratico educato nelle boarding school del New England, ha bevuto nel latte materno. Douthat aveva chiamato quest’America “spiritual but not religious” una “nazione di eretici”, dove l’intimismo personalizzato ha sostituito (anzi, risostituito: le pulsioni religiose dell’America si muovono secondo ondate o “awakening”) gli ordini ecclesiastici. E’ stato Paul Elie su Vanity Fair a tracciare un suggestivo parallelo fra Francesco e John Fitzgerald Kennedy, appoggiandosi al sistema di rimandi simbolici della Cattedrale di Washington, dove sono stati celebrati i funerali del presidente e dove Francesco ha dato ai vescovi la frustata che è piaciuta tanto ai cattolici kennediani. L’agiografo di Camelot, Arthur Schlesinger, scriveva: “L’energia che ha sprigionato, gli standard che ha definito, gli obiettivi che ha fissato guideranno la terra che amava per gli anni a venire”, frase che gli agiografi del Papa potrebbero adottare e riadattare all’istante. Più che il parallelo fra le due figure è significativo notare le indicazioni che queste fornisce sulla natura dominante del cattolicesimo che il Papa ha trovato in America, una sensibilità che inevitabilmente s’accorda con la preminenza della pastorale sulla dottrina, con le aperture degli spazi di dialogo su cambiamenti climatici, economia, famiglia e altro che sono in diretta competizione con il tono severo della conferenza episcopale, quella del “tragico errore” del matrimonio gay. Francesco ha trovato un cattolicesimo d’establishment con le braccia spalancate.
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