Quella profezia di Ratzinger sulla scomparsa dell’Europa

 Pure la Chiesa cattolica, che non sarebbe stata più così potente, per numero di fedeli e peso specifico, come un tempo.

DIC 23, 2018  FRANCESCO BOEZI www.occhidellaguerra.it

Joseph Ratzinger aveva previsto la fine della civiltà occidentale. Almeno per come l’abbiamo conosciuta. Lo stesso “tramonto” di cui ha scritto Oswald Spengler, ma secondo una chiave squisitamente teologico – filosofica. Una curva discendente – aveva pronosticato l’allora “mite professore” di Tubinga – che avrebbe interessato pure la Chiesa cattolica, che non sarebbe stata più così potente, per numero di fedeli e peso specifico, come un tempo.

La “profezia”, come viene chiamata oggi, risale al 1969. Il teologo tedesco non poteva conoscere il suo destino da papa, figurarsi quello da emerito. A conti fatti, possiamo dire che Benedetto XVI non aveva alcuna intenzione di occupare le “stanze del potere” in Vaticano. Il suo principale interesse di pontefice è stato quello di traghettare la Cristologia al di là di questa fase storica, scongiurando il rischio che venisse deformata dal relativismo. Ratzinger si è rinchiuso in un’altra stanza, quella “dei libri”, e ha soprattutto scritto.

Il perché è riconducibile a quanto aveva previsto durante gli anni della contestazione: “Siamo dentro una profonda crisi della Chiesa – aveva scandito parlando attraverso un canale radiofonico tedesco – . Una Chiesa che, per via di questa crisi, sarebbe stata destinata a diventare “sempre più piccola” tanto da “dover ripartire dagli inizi”. E ancora: “Non le serviranno più molti degli edifici eretti dalla fede del passato e il numero dei suoi fedeli diminuirà…Gli uomini – aveva concluso – vivranno in un mondo totalmente programmato in una solitudine indicibile”.

Difficile,oggi, non riscontrare elementi d’attualità in queste poche righe. Altrettanto complicato non evidenziare l’assoluta continuità tra questa riflessione e l’operato di papa Benedetto XVI.

La Chiesa cattolica del futuro, secondo la visione di Ratzinger, sarebbe divenuta un’istituzione ridotta ai minimi ranghi. Un’enclave costretta a ripartire dalle origini perché ormai priva della capacità di attrarre un mondo sempre più secolarizzato. Semplificando, potremmo asserire che il cristianesimo profetizzato da Ratzinger avrebbe costituito una confessione per pochi, ma connotata dai caratteri della veridicità e della coerenza.

Le statistiche continuano a far registrare cali di partecipazione alla vita ecclesiastica nell’emisfero occidentale. L’Europa – segnala una frangia allarmata, composta soprattutto da pensatori conservatori – rischia la “desertificazione religiosa”. Rod Dreher, che abbiamo avuto modo d’intervistare nel corso di quest’anno, ha indicato una possibile soluzione: ricostruire tutto, partendo dalle comunità benedettine e dalla regula dell’ordine fondato dal Santo di Norcia.

L’intellettuale americano ritiene sostanzialmente inutile l’incontro troppo ravvicinato con il mondo. I cristiani, sostiene, devono rassegnarsi a rappresentare una “minoranza creativa”. La medesima “visione” avuta da Benedetto XVI alla fine degli anni 60′. Il senso, in sintesi, è questo: essere dei cristiani contemporanei significa nuotare controcorrente, mentre sposare la causa della modernità vuol dire abiurare il Credo. Il ritiro strategico di Dreher, non a caso, si chiama “Opzione Benedetto”.

Tenendo presente la passione di Benedetto XVI per Sant’Agostino, si potrebbe concludere che Ratzinger, dall’interno del Mater Ecclesiae, continuerà comunque a dirsi convinto della futuribilità del disegno divino, che prescinde dalla Chiesa e non può dipendere dalle azioni degli uomini. Facciano quest’ultimi parte dell’istituzione ecclesiastica o no.

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