Belluno. Il rifugio antiaereo dimenticato che giace sotto il centro città
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La Prefettura decise così di far costruire dalle maestranze bellunesi quattro rifugi sotterranei, affinché i cittadini potessero salvarsi dal fuoco annientatore dei bombardieri
LUCA VECELLIO, 20.2. 2024 Qdpnews.it lettura3’
Pochi, passeggiando per il centro di Belluno, sanno che sotto a una porzione di Piazza dei Martiri esiste un’ampia e affascinante infrastruttura che resiste al tempo e all’umidità del sottosuolo: si tratta di un rifugio antiaereo creato durante la seconda Guerra mondiale, all’interno del quale si può rievocare – anche solo per qualche istante – lo sgomento della gente del capoluogo che lì dentro attese e sperò, confidando chi in Dio chi nella buona sorte.
Video di Luca Vecellio
Nel 1944 la Seconda Guerra mondiale infuriava su tutti i fronti: la Provincia di Belluno, dopo l’armistizio di Cassibile dell’8 settembre 1943, venne occupata dalle truppe dell’Asse, diventando una provincia italiana del Reich.
Tra lotte intestine, caos identitari e repressioni violente, un clima di sfiducia ingrigì le piazze dei paesi così come quelle delle città, quando ad annerirle del tutto arrivarono i bombardamenti. L’obiettivo segnato sulle cartine aeree militari era la stazione ferroviaria: le prime bombe non si fecero attendere e caddero il 22 dicembre.
La Prefettura decise così di far costruire dalle maestranze bellunesi quattro rifugi sotterranei, affinché i cittadini potessero salvarsi dal fuoco annientatore dei bombardieri: in via Vittorio Veneto, sotto il Torrione in piazza Mazzini, vicino al Ponte Nuovo e, il più grande, in via Lambioi.
Grazie al FAI quest’ultimo viene oggi valorizzato e reso noto a chi non lo conosce, con alcune giornate di apertura su prenotazione (c’è anche una lista d’attesa) che consentono di attraversarlo tutto.
Potevano trovarvi riparo oltre tremila persone, disposte lungo gli ampi corridoi centrali, progettati su due livelli e con una forma a esse (con ingressi più stretti per proteggerlo da crolli strutturali). A metà della porzione rettilinea del tunnel, la cui lunghezza è pari a duecento metri circa, si trova una scalinata.
Sono ancora visibili anche un paio di gabinetti, con le turche, una stanza che poteva fare da infermeria o da magazzino e un paio di fontanelle. Una sezione del tunnel era ancora in costruzione quando si decise di interromperne l’utilizzo: in alto, infatti, sul fondo dell’estremità che dà verso il parcheggio di Lambioi la volta risulta forata e le stanze “al grezzo”.
Immaginiamo quindi di trovarci in centro, a Belluno, sentire una sirena suonare all’improvviso, radunare la nostra famiglia e metterci a correre per raggiungere uno dei due ingressi alle estremità del tunnel: uno in via Lambioi e l’altro vicino alle scale mobili, dove oggi sbuca in un giardino privato. All’interno troviamo già dai primi metri delle indicazioni: per prima cosa il divieto di entrare con biciclette o animali domestici, questo per non creare intralcio all’interno degli spazi. Era proibito anche fumare.
Poi quella parola così iconica, in grande, sulla parete a volta: “Silenzio”. E possiamo immaginarlo bene questo silenzio, con uomini, donne, anziani e bambini, seduti sulle panche di cui oggi è rimasto soltanto il sostegno, ad attendere il boato e il tremore del soffitto. Più avanti veniamo rassicurati invece dalla parola “Calma”, che – in stampatello maiuscolo – sembra un ordine più che un consiglio.
Grazie all’opera di valorizzazione del FAI locale, con volontarie preparate come Francesca ed Elisa (in foto), il tunnel sta generando grande interesse specialmente in città, che negli anni lo avevano in parte dimenticato: alcuni visitatori riescono così a rievocare gli aneddoti dei nonni o dei genitori, che magari da giovani ha ascoltato con distrazione. Trovarsi in quella galleria ad ascoltare lo stillicidio interrompere quel silenzio, ricorda quanto la guerra possa inesorabilmente travolgere – e qualche volta spazzare via – la vita quotidiana di una città.
(Foto e video: Qdpnews.it ©️ riproduzione riservata).
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